Tra autocrazia e nuova Guerra Fredda
di Pietro Acquistapace, tratto da EastJournal
Elezioni, ancora elezioni. Nell’opacità della vita politica centroasiatica, le elezioni sono spesso l’unico momento in cui poter sbirciare quanto avviene dietro le quinte dei regimi della regione.
Sebbene il Kirghizistan sia l’unica delle cinque repubbliche dell’Asia Centrale dove le elezioni possono essere definite libere, anche questo paese non è esente da repentini cambiamenti dello scenario politico, tratto caratteristico della soap politics che caratterizza questo angolo di mondo. Nonostante manchi quasi un anno all’appuntamento la trama elettorale kirghisa è già degna di nota.
A dare il via alla campagna elettorale, molto probabilmente è stata la riforma costituzionale di fine dicembre (2016) che aumenta, considerevolmente, i poteri del primo ministro kirghiso ossia la posizione che – i maligni sostengono – verrà assunta dall’attuale presidente Almazbek Atambyev, giunto al limite dei suoi mandati. La riforma ha ovviamente scatenato le proteste dell’opposizione kirghisa e la rottura di Atambayev con due suoi storici alleati, vale a dire Roza Otunbayeva (presidente ad-interim nel 2010) ed Omurbek Tekebayev, nel 2010 autore chiave della costituzione.
Quest’ultimo, leader del partito Ata Meken, è stato addirittura arrestato a febbraio con l’accusa di avere ricevuto da un investitore russo – nel ricorrente 2010 – tangenti per un valore di un milione di dollari. L’arresto preventivo di Tekebayev, il cui processo dovrebbe tenersi ad aprile, è avvenuto il giorno prima della visita ufficiale di Vladimir Putin in Kirghizistan, una visita in cui – sempre secondo i maligni – il leader russo avrebbe indicato il candidato che alle presidenziali avrebbe sfidato quello governativo. Sembra quindi chiaro che Atambyev si stia allontanando da Mosca.
Durante la presidenza Atambyev, il Kirghizistan si è strettamente legato alla Russia aderendo all’Unione Economica Eurasiatica, giustificata con la necessità di proteggersi dopo il blocco economico messo in atto – inutile dirlo, nel 2010 – dal Kazakistan e durato un mese e mezzo.
Un’adesione che ha tuttavia incrinato i rapporti commerciali con la Cina, ancor più oggi dopo il rinvio di Pechino alla realizzazione della variante D del gasdotto che dal Turkmenistan porta il gas in territorio cinese, una variante che avrebbe dovuto attraversare Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan.
La risposta di Putin è stata semplicemente quella di ribadire la centralità della base militare che la Russia ha in Kirghizistan, a Kant, per la salvaguardia della sicurezza della regione. Una risposta che spiega forse come negli ultimi mesi le autorità kirghise abbiamo a più riprese dimostrato interesse per lo sviluppo dei rapporti con l’Unione Europea, tanto da far dire ad Atambyev, nel corso di un’intervista televisiva con il corrispondente di Euronews durante una visita in Belgio e Germania, di avere richiesto l’ingresso del Kirghizistan nella UE! Una (forse) battuta che dice davvero molto.
Durante il sopracitato viaggio in Belgio le autorità kirghise hanno incontrato alcune tra le più alte cariche dell’Unione Europea come Donald Tusk e Jean-Claude Juncker, firmando inoltre diversi accordi commerciali. La Ue ha infatti stanziato più di 100 milioni di euro per la modernizzazione di vari settori del Kirghizistan tra cui l’agricoltura, il sistema legislativo ed altri progetti finanziari.
La prima tranche di 13 milioni di euro, destinata alla regione di Jalal-Abad sarebbe già stata erogata. Inoltre Belgio e Kirghizistan hanno quindi firmato accordi bilaterali in tema di cultura e commercio.
Un passo importante nei rapporti commerciali tra Unione Europea e Kirghizistan risale al gennaio 2016, quando alla repubblica centroasiatica venne dato accesso al GPS (Generalised Scheme of Preferences), vale a dire uno status che offre agevolazioni sulle tasse di esportazione verso l’Unione Europea, se non la loro completa cancellazione. Un aspetto molto interessante, o che potrebbe esserlo, risiede nel fatto che gli imprenditori kirghisi, non essendo presenti sul continente europeo, si affideranno a intermediari pakistani, a cui hanno recentemente chiesto aiuto in tal senso.
Ad aleggiare sul futuro delle relazioni tra Kirghizistan ed Unione Europea è la questione dei diritti umani, praticamente onnipresente in qualunque accordo di collaborazione tra paesi europei e repubbliche centroasiatiche. Oltre al caso di Tekebayev ha suscitato riprovazione internazionale la vicenda di Azimjan Askarov, militante per i diritti umani di origine uzbeka condannato qualche mese al carcere a vita con l’accusa di avere fomentato – nel caotico 2010 – scontri inter-etnici tra kirghisi ed uzbeki a Basar-Korgon. Una condanna giunta dopo un processo controverso e non trasparente.
In conclusione il Kirghizistan si avvia alle elezioni presidenziali del novembre 2017 in equilibrio sul filo delle alleanze strategiche, anche se in Asia Centrale la tensione tra continuità e cambiamento è una costante difficile da interpretare. I fronti di appartenenza sembrano delinearsi, riportando l’eccezione kirghisa su dinamiche politiche più vicine al resto dell’Asia Centrale.