Un documentario racconta la Francia e il multiculturalismo attraverso la nazionale di calcio
di Christian Elia
Il 12 luglio 1998, sugli Champs-Elysées a Parigi, una folla oceanica imperversa fino all’alba per festeggiare la vittoria della nazionale francese ai mondiali di calcio, dopo un sonante 3-0 inflitto alla nazionale brasiliana.
L’Arco di Trionfo celebra i nuovi eroi, in particolare Zinedine Zidane, il cabilo d’Algeria, chiedendo per lui la presidenza della Repubblica.
Il vero presidente della Repubblica, Jacques Chirac, che di calcio non ha mai capito nulla, fiuta l’occasione e, come il primo ministro Lionel Jospin, cavalca l’emozione popolare per lanciare alla nazione tutta un messaggio: non si è vinto solo un mondiale, ma si celebra la società francese, quella capace di unire black-blanc-beur (neri/bianchi/arabi).
Un documentario, disponibile sulla piattaforma Netflix, ne racconta l’inganno e la disillusione. Realizzato da Pascal Blanchard, Sonia Dauger e David Dietz, Les Bleus – Une autre histoire de France, 1996-2016, sceglie proprio la nazionale di calcio per raccontare vent’anni della vita del paese, vivendone gli alti e bassi sportivi in parallelo a i profondi cambiamenti della società francese.
Un bel documentario, che per l’ennesima volta sa leggere lo sport come riflesso di dinamiche collettive molto più profonde, simbolicamente, dell’atto agonistico.
Ecco che una carrellata dei protagonisti dell’epoca, giocatori e dirigenti, politici e studiosi, regala un affresco sociale d’Oltralpe che porta alla amara riflessione sul finale: gli attentatori che hanno assaltato la redazione di Charlie Hebdo e il Bataclan nel 2015, erano bambini che festeggiavano quel che pensavano fosse il loro paese. Ma non lo è saputo diventare.
Un’affermazione forte, ma che viene messa sul tavolo per guardare nel cuore della società francese, ponendo una domanda, più che trovando una risposta, come del buon giornalismo dovrebbe sempre fare.
A suo modo, questo doc è un’esplorazione nel giornalismo narrativo, che sceglie il linguaggio del video, la trama dello sport, per trovare l’intreccio di un multiculturalismo in crisi.
A quella partita, seguita dalla vittoria degli Europei di calcio del 2000, venne legata una mitopoiesi della società francese che, nella vita del paese, non seguiva i trionfi sul campo.
Quando entra in crisi la nazionale, simbolicamente, entra in crisi il modello che Chirac voleva celebrare come acquisito.
Per la prima volta, nel 2002, il Front National di Jean-Marie Le Pen arriva al ballottaggio per le presidenziali.
Gli stessi giocatori simbolo del 1998, come Lilian Thuram e Zinedine Zidane, prendono posizione contro l’uomo che, proprio nel 1998, si era attirato le critiche del mondo intero per non aver celebrato una nazionale ‘piena di stranieri che non sanno neanche la Marsigliese”.
All’epoca venne massacrato da tutti, ma quattro anni dopo si trova a contendere la presidenza a Chirac. Che è successo alla Francia? E’ accaduto che l’inganno di un ascensore sociale non uguale per tutti (“una persona di origini arabe ha sei volte meno possibilità – a parità di curriculum – di essere assunto di un bianco”, racconta uno storico nel documentario) si svela.
E’ accaduto che il discorso razzista lascia le stanze minoritarie dell’estrema destra per diventare discorso di Stato con Nicholas Sarkozy, capace di definire ‘feccia’ i ragazzi delle banlieue durante l’esplosione di rabbia del 2005, quando era ministro degli Interni.
E’ accaduto che i figli degli immigrati dalle ex colonie, che hanno visto i padri e le madri spaccarsi la schiena, accettando umiliazioni e tenendo sempre la testa bassa, hanno fallito nell’obiettivo di tutta una vita: dare ai loro figli (ormai francesi) un futuro uguale a tutti gli altri cittadini della Republique.
Un goffo tentativo di usare la nazionale di calcio come vettore di un messaggio altro, si attorciglia attorno all’amichevole Francia – Algeria che finisce in tumulti. Fino ad arrivare al ct Laurent Blanc, proprio uno dei quegli eroi del ’98, che viene registrato mentre parla di ‘quote’ per gli immigrati in nazionale.
Un bel racconto, profondo, polifonico e non banale. Un esempio di come il giornalismo debba sempre saper trovare il linguaggio migliore per raccontare la società e interessare i lettori. Consigliato.