Frammenti di Kurdistan
di Linda Dorigo
Rouf e suo figlio Amnj.
Il padre è un insegnante di scienze in pensione e il ragazzo un attore di teatro a Tehran. Sono curdi di Marivan. In questo pezzo di Kurdistan mi sembra che la cultura persiana abbia assimilato con successo l’identità curda. “Sei ancora alla superficie – risponde al mio commento Amnj – Viviamo un vero e proprio apartheid curdo”. Il padre ce l’ha con gli americani, secondo lui il germe della distruzione in Medio Oriente: “Quando l’Occidente ci lascerà in pace potremo finalmente tornare ad essere padroni del nostro destino. Quando succederà? Quando i curdi avranno uno stato?”.
Nel 1983 Rouf ha trascorso due mesi prigioniero dei peshmerga che lo credevano una spia del regime. “Ho visto come i curdi trattano il nemico: da ospite, cercando di non fargli mancare nulla. Deploriamo ogni azione violenta, ma accade che si sia costretti ad usare le armi per difendersi”.
Siamo vicini all’Iraq e qui sono stati accolti migliaia di profughi in fuga dalle persecuzioni di Saddam Hussein durante la campagna di genocidio Al- Anfal. “Quando lo Shah e Kissinger hanno tagliato gli aiuti ai profughi iracheni in Iran, non ho potuto aiutare nessuno, neanche i miei parenti con passaporto iracheno – confessa il professore – Sapevamo quello che li aspettava in Iraq. Ho visto persone obbligate a lasciare qui tutti i loro averi, le auto, anche i vestiti e attraversare il confine in mutande”. Solo gli anziani sono potuti rientrare ai loro villaggi, gli altri sono stati mandati a morire nei campi di concentramento.
Al- Anfal è la miccia che fa esplodere il racconto sul massacro compiuto nei villaggi di Qar e Qarnya nel 1981 e di cui è proibito parlare. Sul sito di Ahmed Shaheed, relatore speciale alle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica Islamica dell’Iran, si trovano i documenti delle sue ricerche.