Il rebus delle elezioni francesi

Con lo scardinamento del dualismo destra gaullista-Parti socialiste, il risultato delle prossime elezioni presidenziali francesi è tutt’altro che scontato.

Di Bruno Giorgini

La vita non è facile per nessuno a Parigi. Se la sinistra appare cieca e barcollante assai, quando non a volte priva di senso, il capitale per parte sua non ha ancora deciso dove confluire in forze. Né si può dire che stia montando un’onda populista – come si usa dire e temere da parte dell’establishment – essendo il fenomeno Le Pen più antico e la politica di Marine Le Pen assai più complessa e fine degli sproloqui di un Salvini o di una Meloni.

Come d’uso, cominciamo dai sondaggi, da prendere come approssimative tendenze più che come numeri affidabili. Intanto salta agli occhi il sorpasso di Mélenchon, accreditato del 16%, rispetto a Hamon fermo ormai da giorni all’8%. Mélenchon, tribuno socialcomunista alfiere della giustizia sociale, un po’ demagogo, morde ormai i garretti di Fillon, candidato della destra classica di derivazione gaullista, che sta al 18%, vittima anche della sua stessa dabbenaggine nonché disonestà micragnosa in favore di moglie e figliolanza, assunti come assistenti di chissà cosa con laute prebende.

Fillon non è uno che abbia bisogno di soldi per le paghette dei parenti stretti, eppure doveva e voleva essere il portabandiera di un capitalismo delle ferriere in cerca di modernizzazione; il suo prestigio e credibilità sono ora piuttosto immelmati persino tra i suoi potenziali elettori e pare difficile che riesca a ripulirsi.

Quindi ecco arrivare Le Pen al 24% e subito avanti – 25% – Macron, l’enfant prodige della borghesia finanziaria che interpreta e propone uno sviluppo fondato sul capitalismo cognitivo e/o, se si vuole, sull’economia della conoscenza. Marine Le Pen, vera e propria mattatrice di queste elezioni, per l’intanto irrompendo da protagonista prima, e restando poi saldamente in sella dopo, ha scardinato il tradizionale bipolarismo tra destra classica gaullista e sinistra assiata sul Partito Socialista, ciascuno dei due big parties con i suoi più o meno riottosi satelliti.

Comunque la si metta questo schema di gioco è andato in frantumi, e a ragion veduta Mélenchon mette sul piatto l’ipotesi di una Costituente che fondi la VI Repubblica, archiviando la V, inventata e costruita da De Gaulle in modo trionfale, che nelle terre di Francia e di Navarra ha modellato la lotta politica dal 1958 a oggi.

Marine Le Pen ha ancora però un punto debole, le sue radici fasciste e coloniali di cui, per quanto si agiti, non riesce a liberarsi, nostante l’espulsione del padre, vecchio patriarca in disarmo. Ancora troppe parole, costrutti sintattici e semantici, idee in modo visibile mutuati dal mondo dell’estrema destra nazionalista, fino a sfumature naziste che ogni tanto emergono quasi inconsce a mo’ di lapsus freudiani nei suo stretti collaboratori e anche in lei, pur al solito accorta e contenuta.

Qui Macron ha fatto un colpo da maestro, contrapponendo i nazionalisti ai patrioti. I patrioti caratterizzati dall’amore verso i propri concittadini, i nazionalisti dall’odio per gli altri, gli stranieri. I patrioti riunificano la comunità, i nazionalisti la dividono; i patrioti lavorano intrinsecamente per la convivenza civile, i nazionalisti sono portatori di una guerra civile potenziale.

Macron si è posto alla testa di un movimento molto vivace, ma il suo elettorato potenziale appare, come sostengono gli specialisti, volatile nonché inviso a molti, specialmente a sinistra. Il nostro giovane ex-banchiere viene infatti visto come il ferro di lancia di un liberismo letteralemente disumano, ovvero costruttore e propagatore di una società governata dagli ormai celebri algoritmi, le tecniche di calcolo in genere implementate nei computer del sistema, laddove invece la libertà umana, il libero arbitrio sembrano essere marginali se non completamente obsoleti.

A fronte del volatile 25% potenziale di Macron, ben più saldo invece appare il 24% di Le Pen con un partito innervato e ramificato in tutta la Francia che macina chilometri e chilometri di azione politica ogni giorno in ogni angolo dalle campagne alle riviere, dalle periferie ai centri urbani, dalle università alle fabbriche.

Chi pensa comunque impossibile una vittoria di Marine Le Pen al secondo turno sottovaluta sia il suo potenziale ancora inespresso, sia le ritrosie di molti a votare Macron, se anch’egli arrivasse al ballottaggio. Qualcuno di buona e lunga sinistra mi ha detto: Marine Le Pen salva comunque l’umano, Macron lo annichila. O rischia, pensano in molti.

Per esempio, l’elettorato di Mélenchon non è detto, ma proprio per niente, che riversi i suoi voti su Macron. D’altra parte, non esistono forse in Italia, e altrove, i trumpisti di sinistra a dirsi che lui difende gli operai americani coi dazi e tenendo lontani i migranti che rubano il lavoro, mentre Hillary era la cocca dell’alta finanza. E infatti la borsa di Wall Street non aveva mai realizzato così alti profitti e guadagni come da quando il miliardario Trump è diventato Presidente.

Ma questo non conta, figuriamoci, perché così come esisteva l’estremismo malattia infantile del comunismo, oggi entra in scena la demenza senile del comunismo, più diffusa di quanto si creda e che potrebbe portare Le Pen a divenire Presidente della Repubblica francese. Paradossalmente, molti di sinistra potrebbero riversare più volentieri i loro voti su Fillon, se arrivasse al ballottaggio, un vecchio e ben conosciuto conservatore, anche lui molto umano con le sue ruberie.

Infine, comunque vada, bisogna prendere atto già fin d’ora che non esiste più in Francia il PS, una performance del tutto notevole se si pensa che fino a pochi anni fa governava quasi tutte le province, i comuni, le regioni fino alla vittoria di Hollande eletto trionfalmente all’Eliseo. Vittoria catastrofica quant’altre mai, e oggi stanno tutti lì a mangiarsi le dita per avere scelto un tale incapace alla più alta carica dello stato.

Ma forse neppure Hollande sarebbe riuscito a affondare il PS e l’intera sinistra, se nel partito qualcosa già non fosse ormai corroso, e pronto a frantumarsi. Se mai risorgerà come l’araba fenice non è dato per ora sapere. Per finire, alcuni altri candidati, uno nazionalista attorno al 5%, i cui voti dovrebbero al secondo turno confluire su Marine Le Pen, e un paio di candidati trozkisti e anticapitalisti molto simpatici e combattivi.

Concludendo, la partita si gioca sugli indecisi, a tutt’oggi attorno al 40%, e nessuno immagina cosa pensino e/o come voteranno. Le elezioni francesi sono ancora lontane dall’essere definite e promettono possibili diversi scenari, uno solo molto improbabile: che vinca un candidato di sinistra. Nonostante la speranza di qualcuno in cuor suo di vedere Mélenchon arrivare al ballottaggio. Dopo di che tutto può succedere.