172 artigiani della pace. 120 armi da fuoco, 3 tonnellate di esplosivo, munizioni e detonatori. In otto località i depositi che costituivano l’arsenale di ETA. Che oramai, come ha scritto nella lettera recapitata il 7 aprile, è una organizzazione disarmata.
Di Angelo Miotto
@angelomiotto
8.4.2017, a Bayona c’era il sole e 20mila persone a celebrare il disarmo di ETA. Un disarmo verificato dalla Commissione Internazionale di Verifica, portato a termine dagli Artigiani della Pace, quindi da esponenti che appartengono alla società civile, in un atto simbolico in cui ogni singola figura ha un significato profondo.
Arnaldo Otegi, leader della sinistra basca, lo ha detto fra le altre dichiarazioni che ha rilasciato: un’operazione di disarmo che non è stata ostacolata. Sembra un paradosso, ma gli ultimi sei anni sono lì, a dirci che Madrid, e Parigi, non hanno mosso un dito, anzi il governo di destra di Rajoy, che controlla l’azione penale, non ha perso occasione per mettere i bastoni fra le ruote.
Il cessate il fuoco e la fine definitiva dell’attività armata, sancita dal comunicato di ETA il 20 ottobre 2011, è stato un fatto basco. L’ha propiziata un cammino politico tutto basco, dentro la sinistra indipendentista – Arnaldo Otegi nel disegnare una parte necessaria del percorso nel 2009 fu arrestato e ha scontato sei anni di carcere per aver facilitato un esito tanto atteso -.
La società basca ha reagito, le vittime si sono incontrate, il grande lavoro della costruzione del ‘relato’, cioè di come si dovrà raccontare la storia degli ultimi sessant’anni, ha provocato dibattito, sano, conflittuale, doveroso.
L’otto aprile è stato il giorno delle foto: delle persone, gli ‘zulos’ i luoghi in cuij venivano interrate armi e munizioni. Una parentesi che si chiude, anche se rimane la questione dello scioglimento dell’Organizzazione, prioritario per la politica spagnola, ma soprattutto quella dei prigionieri politici e del loro futuro, prioritario per la società basca.
L’attenzione di un giorno storico, che va a chiudere una vicenda sanguinosa e difficile, crudele tutta del Novecento, sarà seguita da una coda stanca a livello internazionale e poi dal silenzio informativo.
Questo è un punto che fa riflettere: costruire la pace è più difficile, ma resta meno affascinante nel sentimento di attenzione e scelta dei temi notiziabili rispetto alla frattura di un’azione armata. Il sangue stupisce, la violenza impressiona, i gesti e le parole che riguardano la vita, la sfera profonda di un’anima sociale, rimangono dettagli spesso bollati come noiosi. Eppure, ci sono centinaia di famiglie che ora si chiedono cosa accadrà di chi è in carcere, ancora colpito dalla strategia della dispersione, per accumulare sofferenze. La applicò Felipe Gonzales, lo stesso presidente di una Spagna che finanziò la guerra sporca contro ETA, con fondi neri e assoldando mercenari e pistoleros dell’estrema destra.
Otto aprile e una parola così bella che merita di essere sottolineata: artigiani. Artigiani della pace. Qualcuno che sa, che mette il suo sapere a disposizione, qualcuno che costruisce e ha una eredità nel saper costruire o fare. È il segnale e il simbolo più interessante. Perché il finale di ETA è stato accidentato, confuso e anche militarmente una agonia. Dichiarato il fine delle attività, poi, non è mai riuscita ad avere un potere di interlocuzione, o anche solo di pressione. La società, quella che vissuto – e che in parte in sessant’anni ha anche appoggiato e rifocillato l’organizzazione – è il soggetto protagonista. Gli stati se la vedranno con un settore comunque ampio, anche se non è da sottovalutare il grande dubbio sulla cinghia di trasmissione di una storia, del suo racconto, dei fatti, del comprendere i contesti in cui vivevano le motivazioni.
Per chi ha seguito tante cronache, per chi ha contestualizzato, conosciuto, scambiato idee e passato ore, studiato e scritto, forse per tutti questi c’era spesso una domanda che attraversava i pensieri: chissà come andrà a finire? Tutto quello che impari, in quel momento va a costruire scenari, colpi di scena, fronti inaspettati. Poi la realtà e la quotidianità supera tutti. Le date storiche si affastellano, sessant’anni si chiudono e non ci resta che armarci di pazienza e di calma prima di esprimere anche solo un mezzo giudizio sui sacrifici di chi ha calcato o ha subito una strada così dura e sanguinosa, da ambo le parti.
Il manifesto: gli artigiani della pace ieri hanno letto un manifesto e le cronache dicono che si parlava, a Bayona, basco e catalano. Perché la via catalana è una referenza oramai imprescindibile per chi chiede autodeterminazione nella via politica.
Se trata efectivamente de una obra de artesanía,
de un trabajo irregular, imperfecto, y por lo tanto humano,
realizado por manos trabajadoras
en pos de un merecido descanso y de una paz largamente prometida
Qui potete leggere il testo integrale.