Nel Paese scandinavo i Socialdemocratici non escludono un futuro governo con il Dansk Folkeparti, ormai noto per le chiusure agli immigrati
di Michele Ferro, da Copenaghen
In Danimarca il principale partito di centrosinistra e quello di estrema destra sono sempre più vicini, al punto che non si può nemmeno escludere una futura collaborazione al governo del Paese. Il peso del Dansk Folkeparti, il Partito del Popolo Danese, ormai noto per le chiusure agli immigrati, è tale che potrebbe essere determinante alle prossime elezioni.
Forse ancor più di quanto lo sia stato all’ultima chiamata alle urne per il rinnovo del Parlamento, nel 2015, quando ha raggiunto il 21,1 per cento dei voti, diventando il secondo partito di Danimarca e l’ago della bilancia della politica in un sistema proporzionale. Grazie a quel risultato oggi il Dansk Folkeparti è infatti la seconda realtà parlamentare per rappresentanza (37 seggi su 179) e i suoi numeri sono fondamentali per la tenuta del governo liberale del premier Lars Lokke Rasmussen, sebbene il Partito del Popolo si limiti a un supporto esterno, senza rappresentanti ai tavoli dei ministri.
Nel Paese scandinavo si è già iniziato a discutere del futuro di Parlamento e governo.
Anche perché a novembre sono in programma le elezioni amministrative e i risultati nelle varie zone della Danimarca saranno utili per avere il polso della situazione del panorama politico e trarre valutazioni in vista delle elezioni generali del 2019.
Mentre a destra si fa largo anche un nuovo soggetto, ancora più duro con immigrati ed Europa, il Nye Borgerlige, Nuova Destra, stando a recenti sondaggi già ampiamente sopra il limite del 2 per cento, risultato minimo per l’ingresso in Parlamento (qualcuno ha indicato il Nye Borgerlige al 4,8 per cento), il Partito Socialdemocratico, Socialdemokratiet, il più importate del centrosinistra, strizza l’occhio al Dansk Folkeparti e non esclude l’ipotesi di una futura partnership di governo.
Già oggi i numeri di Dansk Folkeparti e Socialdemokratiet basterebbero per la nascita di una coalizione in grado superare quella composta da Partito Liberale, Alleanza Liberale e Partito Popolare Conservatore (il gruppo dei Socialdemocratici è numericamente il più importante del Parlamento ma siede all’opposizione in virtù del sistema proporzionale che rende decisivi gli accordi tra partiti).
Tutto è iniziato da un’intervista congiunta rilasciata qualche settimana fa alla rivista di un sindacato dal leader del Dansk Folkeparti Kristian Thulesen Dahl e dalla numero uno del Partito Socialdemocratico Mette Frederiksen. Entrambi hanno fatto capire di essere più vicini che mai.
Il primo ha assicurato che farà di tutto per avere il partito in una maggioranza e di essere felice per il dialogo aperto con i Socialdemocratici: “Ho parlato più con Frederiksen negli ultimi mesi che con il primo ministro socialdemocratico Helle Thorning-Schmidt nella scorsa legislatura”. L’esponente socialdemocratico, da parte sua, non ha escluso una futura attività di governo con il Dansk Folkeparti. E il dibattito politico si è infiammato.
I Socialdemocratici contano probabilmente di limitare la spinta antieuropeista e xenofoba del Partito del Popolo e nonostante le differenze (i Socialdemocratici sono fortemente europeisti) guardano ai punti in comune, come quelli riguardanti le politiche economiche interne e la necessità di contenere l’immigrazione (benché il Partito del Popolo abbia una posizione decisamente più anti-immigrati con proposte di chiusura assai nette).
Resta l’incognita del Nye Borgerlige, il partito di recente costituzione che sembra superare a destra anche il Dansk Folkeparti grazie all’idea di promuovere addirittura un referendum per spingere la Danimarca fuori dalla Ue (più cauto sulla questione il Dansk Folkeparti, che guarda a una riduzione del peso delle istituzioni europee) e al progetto di uscita dalla Convenzione internazionale sui rifugiati e dalla Convenzione internazionale sugli apolidi. Un suo eventuale exploit potrebbe rimescolare le carte e spingere altri partiti su posizioni ancora più dure sui temi dell’immigrazione e dell’Unione Europea.