Una marcia contro la mafia del caporalato avrà luogo a Pasquetta in provincia di Foggia. L’intervista a uno dei promotori dell’iniziativa, Leonardo Palmisano
Di Andrea Colasuonno
L’appuntamento è per il lunedì di Pasquetta, 17 aprile, alle 11:00, a Borgo Mezzanone in provincia di Foggia. Di lì partirà la Marcia nazionale contro la mafia del caporalato, voluta e organizzata da un gruppo di scrittori e ricercatori che da anni studiano il fenomeno. Fra loro Leonardo Palmisano, autore, insieme ad Yvan Sagnet, di “Ghetto Italia”, fortunato libro-inchiesta uscito lo scorso anno per Fandango, il quale ha contribuito non poco a una mobilitazione che portasse poi all’approvazione della legge di contrasto al fenomeno nell’ottobre scorso.
Proprio a Palmisano, tornato da poco nelle librerie con “Mafia caporale”, abbiamo chiesto di spiegarci le ragioni della marcia del 17 aprile.
Come nasce e perché l’idea di una marcia contro il caporalato?
Nasce da un incontro mio con Marco Minzolo, Stefano Catone e Giulio Cavalli, che in quanto a localizzazione, copriamo a grandi linee il Sud, il Centro e il Nord Italia. Parlando fra di noi ci siamo accorti di condividere l’idea che la legge passata a ottobre contro il caporalato non sia sufficiente, che la reazione a questa legge di una parte degli imprenditori sia eccessiva – pensiamo alle manifestazioni che si sono tenute in Puglia – e che dopo aver avuto 4 morti nei ghetti questo inverno, sia necessario iniziare ad affrontare il problema in modo strutturale.
Per fare questo è necessario mobilitarsi e soprattutto è importante che a farlo sia prevalentemente la società civile. Singoli, associazioni laiche, associazioni religiose, è urgente che si muovano contro la mafia dei caporali e contro quel sistema d’impresa che si nutre dei caporali per contenere i costi. Questa è l’idea.
A proposito della legge per il contrasto del caporalato approvata ad ottobre: dove non riesce ad arrivare? Cosa chiedete che si faccia di più?
Ad esempio aumentare il numero degli ispettori del lavoro. Questo diventa necessario soprattutto in quei territori che sono afflitti da un caporalato evidente, con una fortissima concentrazione di manodopera che lavora in nero. Aumentare gli ispettori del lavoro significa in questo caso introdurre un elemento di civiltà in un settore produttivo che invece tende a diventare sempre più selvaggio, com’è quello dell’agricoltura. Oppure far sì che l’agricoltura non dipenda più soltanto dalla domanda della grande distribuzione organizzata, o dell’agroindustria, ma favorire con degli elementi normativi o delle agevolazioni fiscali la riduzione delle filiere.
Servirebbe una legge nazionale sui gruppi d’acquisto solidale che certifichi la filiera produttiva compreso il lavoro dei braccianti. Questo farebbe crescere probabilmente anche la responsabilità del consumatore: consumerebbe meno, ma molto molto meglio. Nel caso del foggiano, ma questa è opinione mia personale, penso debba essere introdotta una procura antimafia autonoma, perché è evidente che lì ci sia un connubio stretto fra il sistema dei caporali e i tre o quattro sistemi mafiosi di quella provincia. Ultimo aspetto è provare a riequilibrare i rapporti di forza all’interno del mercato del lavoro anche attraverso la nuova legge, consentendo la costruzione di cooperative di produzione e lavoro in agricoltura. Al momento la normativa nazionale non lo consente.
Prima ha citato le proteste del mondo datoriale. In centinaia si sono ritrovati davanti alla prefettura a Bari perché ritengono che la legge contro il caporalato sia penalizzante nei loro confronti. Secondo lei la protesta ha qualche aspetto condivisibile?
Se davvero la legge fosse ciecamente sanzionatoria, in piazza avremmo visto rappresentanti delle più grandi associazioni datoriali, ma a me non pare. Io non soltanto non sono affatto d’accordo con quello che loro sostengono, ma aggiungo che chi nega l’evidenza di un fenomeno come il caporalato merita tolleranza zero. Se noi fossimo semplicemente di fronte a uno squilibrio dei rapporti di forza, allora si potrebbe pensare di ammorbidire la legge. Qui invece siamo di fronte a un pezzo della parte datoriale che ha deciso di accanirsi contro i lavoratori perché non è capace di crearsi il prezzo sul mercato. Di fronte a questa incapacità imprenditoriale, che è purtroppo particolarmente diffusa nel settore agricolo, un settore sotto acculturato – di questo va preso atto –, io sto dalla parte dei lavoratori. Mi interessano poco le proteste dei datori di lavoro: c’è una legge e ci facciano i conti.
La marcia si svolgerà partendo da Borgo Mezzanone, dove sorge il cosiddetto “ghetto dei bulgari”: ovviamente la scelta è simbolica immagino.
Certo che è simbolica. Quest’inverno lì ci sono stati 2 morti, inoltre in quel ghetto ci sono dei minorenni, e poi è sempre stato un posto al centro dell’impegno delle associazioni di volontariato, ad esempio i Padri Scalabriniani. Per noi è importante segnalare la presenza civile in un luogo di fortissima inciviltà. I ghetti vanno assolutamente superati. Poco tempo fa hanno sgomberato il “gran ghetto” di Rignano, è importante però edificare contemporaneamente un sistema di accoglienza diffuso all’interno dei paesi e non più fuori.
Dunque collaborare con le amministrazioni comunali e la cittadinanza, tramite azioni guidate, per evitare episodi di razzismo come a Gorino. Al sistema di accoglienza andrebbero poi accompagnati altri tipi di sistema, perché non dobbiamo dimenticare che stiamo parlando di lavoratori, non di parassiti. Quindi per esempio il trasporto sul posto di lavoro, che dovrebbe e potrebbe essere pubblico. Io so che la Regione Puglia è disposta a metterci dei soldi, i comuni dovrebbero approfittarne in maniera intelligente, non continuando ad allestire container o tende.
Chi ha già aderito alla marcia?
Ci sono associazioni importanti come Migranates, Amnesty… Importantissima l’adesione di Granoro, come quelle di Lega Coop Puglia, Conf Coop Puglia, perché testimoniano la presenza della parte imprenditoriale. Poi sono tantissime le associazioni più piccole o i singoli. In realtà a noi interessa poco il numero dei partecipanti in sé. Possiamo essere 500 o 5000, non è quello il punto. Quello che ci interessa è continuare a mantenere i riflettori accesi su quell’area e per un domani costruire una sorta di tavolo nazionale se possibile, altrimenti regionale, informale, che continui a studiare il fenomeno.
È un fenomeno che va studiato poiché in continua evoluzione come del resto tutti i fenomeni criminali organizzati, il quale come aggravio prevede un’oggettiva violazione dei diritti umani. Questo non si può tollerare, e non è certamente lo sgombero che risolve la violazione di questi diritti.