In memoria di Antonio Vinciguerra, fotografo
di Tano Siracusa
Le foto pubblicate fanno parte dell’archivio di Antonio Vinciguerra, smembrato ormai fra Essaouira, Agrigento e Palma di Montechiaro, il suo paese di origine.
Antonio aveva lasciato Palma a 15 anni per andare ad abitare ad Agrigento, dove aveva frequentato l’istituto magistrale. Non lo faceva nessuno allora, a metà degli anni ’60, ma lui fiutava quel vento di libertà che soffiava in Europa e che lo avrebbe trascinato presto lontano dalla Sicilia.
Nell’autunno, alla ripresa della scuole, arrivò il ’68 anche ad Agrigento, e lui era il leader indiscusso dell’istituto magistrale, circondato dalle ragazze che se lo contendevano.
Deve avere comprato in quegli anni la sua Olympus, oppure subito dopo a Pisa, dove nel 1970 si è iscritto alla facoltà di Lingue e dove nel ’73 ha aperto la galleria Nadar, la seconda galleria fotografica in Italia dopo Diaframma a Milano. Vi hanno esposto Ghirri, Salbitani, giovani e talentuosi fotografi australiani, americani.
In quegli anni Antonio Vinciguerra ha cominciato a fotografare intensamente. A Pisa, come fotografo di Lotta Continua, in Sicilia, quando raramente vi tornava, e nei suoi viaggi avventurosi in Marocco, Senegal, India, ovunque lo spingesse quel vento che lo avrebbe presto portato troppo lontano, da dove in pochi riescono a tornare, e dove molti sono scomparsi prima di lui.
Antonio Vinciguerra non ha mai smesso di fotografare, né di portarsi dietro in giro nelle sue molte abitazioni l’ingranditore con le carte e gli acidi, e delle vecchie, bellissime stampe lasciategli dai fotografi che avevano esposto durante quei tre anni nella galleria Nadar.
Le aveva ancora nella sua casa ad Essaouira nel 2009, circondato dai mobili di cartone che aveva progettato e costruito, eleganti, funzionali. Aveva anche realizzato una macchina fotografica di cartone, con la quale aveva realizzato degli scatti che mostravano nelle stampe una luce prodigiosa.
Ma Vinciguerra non era soltanto legato al mondo dell’analogico, alle tipografie e agli inchiostri. Negli anni ’90 realizzava delle stampe digitali con una sua stampante, progettava e realizzava delle cartelle numerate, mentre lavorava al computer alla progettazione e realizzazione grafica di un’elegante rivista di provincia.
A frugare adesso nel suo archivio emerge soprattutto la dimensione diaristica delle sue riprese, che ha spesso come sfondo paesi esotici negli anni ’70 e ’80. Poi i suoi viaggi si diraderanno, fino alla sua scelta definitiva di trasferirsi in Marocco.
Chi è stato Antonio Vinciguerra come fotografo? Gli piaceva molto Kertesz, e si capisce, gli piaceva Ghirri, anche come persona. Gli piacevano le geometrie semplici, essenziali, gli piaceva quella purezza, quell’equilibrio cui forse profondamente aspirava. Di sicuro è stato un fotografo colto, che non ha mai cercato la ribalta, che si è tenuto alla larga dalla fotografia dei circoli e dei concorsi, che ha fotografato per quaranta anni semplicemente perché gli piaceva e gli piaceva perché lo sapeva fare bene.
Ci ha lasciato un libro, La bella rabbia, uno struggente racconto del ’68 non solo pisano, dei primi raduni giovanili, con una serie di magnifici ritratti a suoi amici come lui trascinati dal vento di rivolta di quegli anni, una rivolta finita male per molti, con una pistola o una siringa in tasca: il documento inevitabilmente poetico del sogno di una generazione e della sua sconfitta.
Adesso il suo archivio fotografico andrebbe ricomposto e visionato. La bella rabbia è solo un frammento di un’opera vasta, un’ esemplare autobiografia fotografica che è la biografia di una generazione.