L’ascesa di Mélenchon nei sondaggi per il primo turno delle presidenziali del 23 aprile, tra giuste risposte ai problemi della società francese e la miopia politica dei suoi critici e avversari
di Bruno Giorgini
E’ un titolo rubato a Le Monde del 14 aprile, semironico ma non del tutto, di un pezzo che con altri riempie due pagine con vicende e gesta di Mélenchon, leader del Front de Gauche e candidato dell’estrema sinistra o sinistra radicale che dir si voglia.
Queste due pagine, dedicategli dal prestigioso giornale francese, costituiscono una investitura che va oltre i pur lusinghieri risultati dei sondaggi. E’ la prima volta nella storia della V Repubblica che un esponente a sinistra del PS (Partito Socialista) potrebbe arrivare al ballottaggio. E per di più, se accadesse contro Marine Le Pen, Mélenchon vincerebbe alla grande (60% a 40%), e con la stessa percentuale batterebbe Fillon, perdendo invece se il ballottaggio fosse con Macron (45% a 55%).
Tra i giornali quelli di destra strepitano assai e il capostipite Le Figarò quasi cita la famosa frase del Manifesto di Marx e Engels che recita: Uno spettro s’aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo. Al posto dell’Europa mettiamoci Parigi e il gioco è fatto.
Fillon ci prova a contrastare “il progetto comunista” nei suoi comizi, per altro non troppo affollati, mentre quelli del “comunista” fanno il pieno e strapieno ogni volta. Poi c’è lo stuolo di quelli che vogliono a tutti i costi iscrivere Mélenchon tra i populisti cosiddetti, al pari di Le Pen, in una riedizione francofona della vecchia storia reazionaria degli “opposti estremismi”, con la postilla che alla fine gli estremi si toccano, e il cerchio si chiude.
In questo esercizio si cimenta anche Hollande, evidentemente non contento dello sfascio della sinistra prodotto dalla sua insulsaggine politica, morale, umana, parlando di una campagna elettorale che sent mauvais, “puzza” in italiana approssimazione. E chi sparge i cattivi odori? Udite udite non Marine Le Pen coi suoi rigurgiti addirittura similnazisti, non Fillon coi suoi peccatucci familiari in uso del pubblico denaro, ma Mélenchon è ovvio, “il tribuno”.
Dice il peggior Presidente di Francia, tanto che, caso unico, non ha potuto nemmeno ripresentarsi dopo il primo disastroso mandato: “c’è un pericolo di fronte alle semplificazioni, alle falsificazioni, facendo sì che si guardi lo spettacolo del tribuno più che i contenuti del suo testo”. Ma volenti o nolenti tutti sono costretti a riconoscere la dinamica d’opinione positiva che accompagna Mélenchon ben oltre i ristretti steccati delle tradizionali formazioni gauchiste. Se poi questa si tradurrà in voti è tutt’altro discorso.
Certamente comunque il fatto politico è già avvenuto: dentro la sinistra il PS arranca, se non si sta squagliando – il suo candidato Hamon sta sull’8% – e il Front de Gauche diventa maggioritario. A questa dinamica della pubblica opinione contribuiscono in modo significativo i giovani, il 44% gli è favorevole tra quelli della fascia tra 18 e 24 anni, e il 27% tra i 25 e 34 anni; per di più Mélenchon cresce fino al doppio nei sondaggi anche tra i quadri e i dirigenti dell’industria pubblica e privata, il 22% oggi rispetto all’11% d’inizio campagna.
Questa adesione dei quadri superiori ci permette di fare un passo verso il programma del candidato qualificato come “comunista”, nonostante comunista non sia né poco né punto.
Programma che ricalca invece in modo quasi millimetrico le aspirazioni dei francesi, così come individuate dalle statistiche sociali che accompagnano i sondaggi. L’80% degli intervistati ha come prima preoccupazione e esigenza che sia garantito il sistema di protezione sociale, quindi al 77% si piazza la sicurezza, il dato è ovvio se si pensa alla serie impressionante di attentati terroristici a cominciare dalla strage dei redattori di Charlie Hebdo e al fatto che in Francia permane lo stato d’emergenza; il 75% vuole che migliori lo stato dell’occupazione, il 75% che aumenti la partecipazione democratica di base alle decisioni politiche, il 74% dichiara che si dovrebbe moralizzare la vita pubblica e il 70% che dovrebbe aumentare il potere d’acquisto dei cittadini. Statistiche che ci raccontano quanto spazio esiste nella pubblica opinione francese per un serio progetto riformista, che paradossalmente oggi è incarnato dall’”estremista” Mélenchon e dal Front de Gauche.
E’ quel che in un’altra doppia pagina di Le Monde del 17 aprile dedicata al nostro eroe scrive Chantal Mouffe, professore di Teoria politica all’Università di Westminster (“M. Mélenchon, il riformista radicale”). Ci sono altri tre interventi di intellettuali, più o meno famosi, e come il politically correct impone due a favore e due contrari. Il secondo favorevole di Judith Butler, filosofa e professore a Berkeley recita: il populismo di sinistra deve servire per una democrazia più inclusiva.
Gli altri due più rancorosi li salto, perchè si inscrivono nell’ossessione anticomunista già descritta – e chi volesse li trova online, autori Jean-Louis Margolin, professore associato all’Università di Aix – Marseille e Thierry Wolton, saggista noto per “Una Storia Mondiale del Comunismo” i Boia, vol. I, le Vittime vol. II.
In realtà il progetto più sovversivo proposto da Mélenchon è quello di un’Assemblea Costituente che mettendo fine a una V Repubblica parecchio barcollante apra la strada alla VI, più democratica cioè non più fondata su un bipolarismo quando non bipartitismo imposto a viva forza ma sempre meno corrispondente a una realtà sociale plurale e complessa, per giunta in una situazione geopolitica comunque europea, e globale con venti di guerra che spirano sempre più intensi dal Medio Oriente, dal Centro e Nord Africa, dal Pacifico, mentre l’insurrezione e terrorismo jihadisti imperversano.
Per non dire delle tensioni interne etnico politiche che si riverberano sulle dinamiche civili sociali e culturali coi rischi di guerra di religione a ogni piè sospinto da Parigi e banlieue fino a Nizza, spiagge incluse. Mentre in Francia si discute delle elezioni di domenica prossima, oltreoceano nella Guyana francese è in atto da settimane una rivolta di massa contro il governo di Parigi cui nessuno sembra in grado di mettere mano per sanare l’ultima ferita coloniale.
Ma ce la farà Mélenchon? Allo stato attuale è difficile azzardare pronostici. Nello spazio di un fazzoletto sondaggistico ci sono lui, Fillon, Le Pen, Macron. A naso direi che al ballottaggio andranno Macron, nonostante esaurita la spinta della novità egli stia in surplace inchiodato nella sua posizione né di destra né di sinistra, in un paradosso ben illustrato da Plantu nella vignetta sulla prima pagina di Le Monde: nella buca delle lettere il cittadino trova ben due schede di propaganda, Macron votez à gauche l’una, Macron votez à droite.
E a competere per la finale troverà probabilmente Marine Le Pen che non ha sollevato nessuna onda populista o sovranista o nazionalista, scegliete voi, tanto da ridursi a riammettere nel partito il vecchio padre Jean-Marie, fascista e razzista allo stato puro, che aveva espulso, cercando di raccattare i voti del peggior nazionalfascismo.
Tornando alla sinistra, se su Mélenchon convergessero i voti degli altri candidati dell’estrema sinistra, anticapitalisti e trozkisti, la sua presenza al ballottagio sarebbe probabile, ma non accadrà. Perchè mai avere in corsa per la Presidenza un ”riformista radicale”, molto meglio che vinca un esponente della borghesia conservatrice e/o finanziaria se non una nazionalfascista, così da poter esercitare una critica ben più puntuta. Poco male se somiglia alla critica critica di cui si prendeva gioco Carlo Marx: la vuotaggine dei parolai dispiegata.