Tanti sono i luoghi comuni che inquinano il dibattito economico a tutti i livelli. Un libro del prof. Andrea Boitani si propone di sfatare alcuni miti e fare chiarezza su temi quali euro, banche e riforme
Di Clara Capelli
A dieci anni dalla crisi che ha segnato destini e dibattiti di gran parte del mondo, lo stato della disciplina economica non è dei migliori. Teorie e modelli che fallirono nel prevedere la crisi sono ancora in buona sostanza dominanti nell’accademia e nel discorso pubblico; difficilissimo è scalfirli nonostante le ricette economiche a essi ispirati, soprattutto nei Paesi cosiddetti “PIIGS”, non abbiano permesso una solida ripresa bensì abbiano contribuito ad approfondire numerose ferite socioeconomiche.
Ciò non significa che non esistano contributi “alternativi”: al contrario, occorre ribadire quanto importante sia il lavoro che diverse comunità scientifiche stanno facendo a vari livelli per costruire e affermare teorie e ricette altre rispetto al mainstream. Ma come diceva l’economista Federico Caffè, maestro fra gli altri di Mario Draghi e Ignazio Visco, “liberarsi dalla suggestione delle affermazioni che finiscono per essere accettate per il solo fatto di essere ripetute non è una cosa agevole”.
Il problema è il debito pubblico, quindi ci vogliono politiche di austerità; non si cresce se non si fanno le “riforme strutturali” – qualunque cosa voglia dire; il controllo dell’inflazione è il compito della banche centrali, al fine di garantire la stabilità dei prezzi. Idee intuitive, ragionevoli. Eppure non necessariamente fondate.
Sette luoghi comuni sull’economia (Edizioni Laterza) di Andrea Boitani, professore ordinario di economia politica presso l’Università Cattolica di Milano, rappresenta un ottimo contributo nel tentativo di sfatare questi miti così radicati nell’immaginario comune. Euro, debito pubblico, inflazione, competitività, banche, riforme e infrastrutture: sette luoghi comuni che Boitani sviscera con rigore, mettendo in evidenza falle teoriche ed evidenze empiriche che ne provano la sostanziale infondatezza.
Il professore non lesina critiche a colleghi, politici e funzionari europei. Spiega molto bene perché la crescita basata sull’austerità sia un controsenso che si scontra con la realtà, basti solo pensare al caso della Grecia. Descrive in modo chiaro i problemi dell’architettura dell’Unione europea e del sistema euro, oltre alla miopia di eurocrati e leader europei, in particolare della Germania. Smonta la convinzione che le “riforme strutturali” siano l’unica via per la ripresa e la crescita, discutendo degli errori di imprenditori, banchieri e politici italiani.
Diversamente da tanta letteratura economica divulgativa che strizza l’occhio a tesi complottiste e tende a semplificare nel senso opposto e speculare al mainstream, questo libro mantiene uno stile argomentativo articolato e un approccio riformista.
Sebbene l’Unione europea e l’eurozona necessitino di profonde riforme, ciò non implica che il progetto europeo debba essere lasciato fallire. Gli istituti bancari e finanziari – italiani come europei – hanno molte colpe di questa crisi, ma la possibilità di riforma viene comunque rivendicata. Le politiche dettate dal mainstream presentano non pochi problemi, ma ciò non significa che non si possa fare qualcosa per intervenire.
Grazie a uno stile scorrevole e incalzante che si appoggia a numerosi riferimenti culturali nell’argomentazione, dalla favola I vestiti nuovi dell’Imperatore all’opera lirica Elisir d’amore, questo lavoro si presenta come un utile strumento per informarsi, fare chiarezza, attingere a teorie, critiche e dati che possono aiutare a guidare il dibattito anche per non addetti ai lavori. Un libro accessibile ma non banale per fare buona divulgazione economica, con la speranza che il grande pubblico si appassioni – o torni ad appassionarsi – alla disciplina di Smith, Marx e Keynes.
Perché l’ignoranza dei più basilari concetti economici riguarda tutti e ogni volta che ce ne disinteressiamo in quanto “troppo difficili” lasciamo campo libero a dannosi luoghi comuni.