In una guida, l’invito al viaggio
di Nicolò Cesa
Era il 2011. I ricordi mi portano alla stazione di Milano-Garibaldi. Le melodie primaverili erano accompagnate dalla sezione ritmica degli imperativi, dei suoni dei passi dei pendolari che penzolano sulle scalinate che conducono ai treni. Sempre gli stessi. Treni da prendere al volo per partire, tornare, ripartire.
La laurea che avevo conseguito da pochi giorni aveva la forza di sistemare un po’ i conti con il presente, regolando i volumi di quel magnifico e indispensabile concerto collettivo. In testa avevo solo l’Islanda. Sarei partito dopo poche settimane ma già pensavo al ritorno, la fase più affascinante di un viaggio.
In quel tragitto le cose prendono forma, i ricordi sgomitano, i profumi emergono. La vera essenza di un viaggio risiede – paradossalmente – proprio nella sua fine, quando si aggiunge l’ultima parentesi e la nostra mente veste i panni del regista che scarta, trattiene, butta materiale e monta le scene.
Fino a quel momento il viaggio è soltanto una partenza, un ostinato errare. Immaginavo cosa avrei fatto al ritorno, come avrei potuto trasformare questa esperienza; le cose che sarebbero rimaste e quelle che, senza nemmeno saperlo, sarebbero finite nel nulla. D’altronde cosa se ne fa uno scultore degli avanzi, senza i quali un masso di marmo non potrebbe mai prendere forma e diventare opera?
Partii dopo pochi giorni a bordo di un camper che aveva quasi 10 anni più di me.
Strana sensazione quella di viaggiare a bordo di un mezzo che esisteva già, prima ancora che io nascessi. Lo pagammo quanto 8 giorni di noleggio, e ci permise di viaggiare 3 mesi, prima per le strade dell’Europa continentale (Austria, Germania, Polonia, Danimarca) e poi Isole Faroe e, infine, Islanda, a bordo di una traghetto che salpò da Hirtshals, estremo nord danese.
Sapevo sin dal primo momento, sin da quel pomeriggio primaverile di Milano, che al ritorno avrei raccontato questa terra, le suggestioni che dona prima della partenza in quella magnifica fase che è il desiderio di un viaggio.
In quel momento in cui inizia di fatto un viaggio, e io mi immaginavo il profumo del vento islandese, la sensazione di essere così lontani, indifesi di fronte alla supremazia assoluta della Natura. Le capitali europee e le città occidentali, in genere, donano al viaggiatore una sensazione di grandezza e di eternità: ci si sente immensi e immortali di fronte a un quadro di Van Gogh, ai piedi del Colosseo o dei templi greci. In Islanda, invece, ci si sente piccoli, vulnerabili e di passaggio.
È questo il superpotere di quella che viene definita “la terra del fuoco e del ghiaccio”, espressione che aiuta a comprenderne le origini e la continua metamorfosi, ma che manca di tutto ciò che la rende speciale e unica: la sua forza terapeutica. Ispira e fa bene all’anima, e per questo ho deciso di chiamare “mal d’Islanda” quella sensazione che porta i viaggiatori a tornarci con regolarità, per saziare la nostalgia e la malinconia che resta dopo il primo viaggio. Chi ha nelle narici il profumo di quella terra sa di cosa parlo.
A rapire il viaggiatore sono i suoi silenzi e la totale assenza di ostacoli tra gli occhi e l’infinito; i panorami commoventi, il sole di mezzanotte e l’aurora boreale che danza nel cielo; le sue piscine naturali, e il calore della sua gente; le infinite spiagge in cui lasciare correre i desideri e dimenticare il mondo, gli scintillanti ghiacciai, i minacciosi vulcani e le montagne multicolore; le folli notti della capitale e di Akureyri e i pittoreschi villaggi di pescatori nascosti tra i fiordi; la ricca avifauna, le colonie di foche che riposano sulle spiagge assolate e le balene che abitano le sue coste.
E ancora le impressionanti cascate, l’aria tersa e le leggende sul “popolo nascosto”.
Negli ultimi anni è esplosa una vera e propria mania per questa terra, che ha iniziato ad attirare milioni di visitatori da tutto il mondo (nonostante i 320.000 abitanti e un territorio grande quanto tutto il nord Italia), complici l’apertura di rotte operate da compagnie low-cost, l’ambientazione di numerosi video musicali, pubblicità e film, il deprezzamento della corona e la perenne narrazione dei media di questo minuscolo Paese in grado di opporsi (con più o meno successo) ai grandi gruppi finanziari.
Tuttavia resta pur sempre una terra complessa, a pochi km dal Circolo Polare Artico, in cui è fondamentale la pianificazione e la cautela durante il viaggio (negli ultimi 10 anni hanno perso la vita più di 100 turisti, la maggior parte dei quali per non aver rispettato le avvertenze).
Il momento del racconto è arrivato, spinto da un altro periodo che ho trascorso in Islanda a settembre del 2016 – un mese in solitaria – e da maggio la mia guida sarà in tutte le librerie d’Italia.
Dentro troverete tutto l’amore che nutro per questa terra, le storie che più mi hanno affascinato, i luoghi imperdibili e quelli più nascosti.
Le pozze geotermali dimenticate dal mondo, i consigli per fotografare l’aurora boreale, i percorsi di trekking, i migliori ristoranti (la cucina islandese non è solo hákarl – il famigerato e temuto squalo putrefatto – ma è composta da un affascinante sottobosco di ottimi ristoranti new-nordic) oltre ad alcune interviste che ho fatto all’Alþingi, il parlamento islandese – uno dei più antichi al mondo – a proposito della crisi del 2008 e della lotta di questo minuscolo stato contro i giganti della finanza, di cui tutto il mondo ha parlato, ed una a Pietro Biancardi, direttore di Iperborea, la casa editrice che pubblica in Italia i migliori testi della letteratura islandese (“Borges addirittura diceva che è con le saghe islandesi che nasce il romanzo moderno”).
E poi ancora la favola calcistica di Euro 2016, la storia, gli aspetti geologici, le arrampicate sui vulcani e le uscite sui ghiacciai, i consigli per risparmiare e una selezione di foto scattate da me. Il tutto per restituire una parte della bellezza e dell’amore che mi ha donato questa meravigliosa ed unica terra, dalla quale non si torna mai gli stessi di prima.