Sicilian Ghost Story, di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, con Julia Jedlikoska, Gaetano Fernandez, Alndrea Falzone, Federico Finocchiaro, Corinne Musallari. Nelle sale dal 18 maggio.
di Irene Merli
Correte a vedere questo film. Correte, non perdetelo. Perché tanto potente da lasciare tramortiti, è strazio e poesia, poesia e strazio. Perché è storia nostra, infinita, irrisolta e dolorosa. E perché ha una fotografia, una musica e due giovanissimi protagonisti, al loro debutto, che non si faranno dimenticare.
Luna, un’adolescente siciliana che ama disegnare, frequenta un suo compagno di classe contro il volere della madre. Giuseppe la affascina perché non è un ragazzino come gli altri: cavalca, conosce il bosco dove ama addentrarsi, va in motorino anche se non ha ancora l’età.
Ma dopo un pomeriggio passato con lei al maneggio, sparisce misteriosamente.
E altrettanto misteriosamente la sua scomparsa non sembra importare a nessuno, né a scuola, né alla polizia, né alla gente del paese.
Sarà malato, la famiglia ha fatto sapere che per un po’ non potrà venire , sarà solo questione di tempo… C’è chi si fa i fatti suoi per non avere guai e chi invece sfacciatamente dice che il figlio dell’ infame non tornerà più: è inutile lasciare quel banco vuoto.
Già, perché il padre del ragazzino è un pentito di mafia, un malavitoso o un traditore a seconda delle opinioni.
Luna però non si rassegna ad abbandonarlo alla sua sorte. Non riesce a darsi pace, anche se la sua lotta la mette in conflitto con la famiglia e con la classe. E per cercarlo scende in un mondo oscuro, popolato di animali simbolici, fantasmi e sogni.
Sogni inquietanti o dolcissimi che le danno la certezza che Giuseppe sia ancora vivo, le mostrano dove potrebbe essere quel corpo sparito o le fanno incontrare il suo fantasma, tanto umano da sembrare vero. La realtà però è meno magica e molto più tragica.
Non è per caso o per nulla che il suo amato compagno di scuola si chiama Giuseppe come Giuseppe Di Matteo, il ragazzino tenuto prigioniero dalla mafia 779 giorni, poi strangolato e sciolto nell’acido.
A lui, infatti, è dedicato il film, che ha aperto con successo la Semaine de la Critique a Cannes ed è passato anche dal Sundance. E la sua fotografia piùnota, comparsa su tutti i giornali del tempo, lo mostrava proprio in tenuta da cavaliere…
Grassadonia e Piazza, già autori di “Salvo”, riescono ancora una volta a trasfigurare la tragedia della mafia nel fantastico, anche se questa fiaba visionaria è una storia d’amore con un cuore nero, nerissimo e non risparmia momenti dolorosamente realistici.
I due registi sovrappongono generi e registri, ci spiazzano mostrandoci l’inane, crudele mondo adulto visto con gli occhi dei ragazzini, si avvalgono di una grandissima fotografia e di un abilissimo montaggio (curati da Luca Bigazzi e Cristiano Travaglioli, abituali collaboratori di Paolo Sorrentino) e ambientano l’inesausta ricerca della ragazzina in una Sicilia quasi gotica, disseminata di laghi, stagni e foreste.
Ma Notevole è anche la direzione degli attori: l’algida madre di Luna è una figura quasi spettrale, i mafiosi sembrano tanto veri da sembrarci reali, orchi per i ragazzini ma volgari e spietati assassini per noi, Gaetano Fernandez e soprattutto Julia Jedlikoska sono davvero una grande scoperta.
Giuseppe ci stupisce per innocenza e struggente malinconia, mentre Luna, tenace eroina destinata a vedere l’invedibile, ha tutta la vitalità dell’adolescenza, sia nella gioia che nella disperazione. E ci dona una frase preziosa, non solo come chiave di lettura del film: “Se una cosa la sogni vuol dire che esiste”.