Linosa

La buona notizia è che sull’isola tre donne sono incinte. Non succedeva da anni. All’anagrafe di Linosa risultano residenti più di 400 persone, in realtà di inverno sull’isola ne abitano meno di 300.

di Tano Siracusa

Pochi bambini e molti anziani, ma per loro Linosa è un paradiso dice Pietro, cinquantenne, proprietario di uno dei tre bar che ad orari incerti aprono anche d’inverno. I giovani invece sono partiti, sono andati a lavorare e ammettere su famiglia nelle città del nord o fuori dall’Italia.
Operai, diplomati, laureati. I nonni sull’isola, i figli e i nipoti sulla terraferma, lontano.
A Linosa, due ore di navigazione da Lampedusa, dove qualche anno fa Emanuele Crialese ha girato Terraferma, uomini fra i 18 e i 40 anni se ne vedono davvero pochi.

Uno dei trentenni rimasto sull’isola, Enzo, fa il pescatore. Ieri ha preso una cernia di 13 chili e tanto altro pesce pregiato, ma le due notti precedenti non aveva pescato niente.

D’altra parte, dice il proprietario del bar, questa non è mai stata un’isola di pescatori, ma di contadini.
In questo fine aprile anomalo, con il cielo basso e la terra bagnata da una pioggia improvvisa e scrosciante, la campagna accende i colori come in un quadro fauve, i verdi, i rossi, i gialli, i blu, l’arancio; colori che si ripetono negli intonaci delle case, nelle vernici delle imposte, degli infissi.

Anche se ormai la tipologia della tradizionale casa linosana – le finestre e la porta dell’abitazione a un piano orlate dalle bande di quei colori deliranti – da alcuni anni non sembra più un modello vincolante, sia nella scelta dei materiali che nel cromatismo delle superfici.

La terra fertile, di origine vulcanica, sprigiona i profumi delle erbe e dei fiori selvatici, di radici e alghe marce, e sembra gonfiare le piante grasse, carnose, che aderiscono agli scogli come una morbida escrescenza.
Nell’interno dell’isola, nelle sue valli, fra l’immobile tumulto dei fichi d’ india – una sarabanda di braccia e palme alzate, di sagome antropomorfe e mostruose – echeggiano come pianti di bambini nelle notti d’estate i lamenti delle berte marine.

L’isola per un secolo è stata soprattutto questo, la campagna da lavorare, e un po’ di pesca.  Prima c’era anche molto bestiame, fino a quando   hanno chiuso il macello. Allora i linosani hanno scoperto il mare come una risorsa turistica.

Gli anni ’80 sono stati una festa, racconta Fedele, che ha lasciato Linosa per aprire una trattoria ad Agrigento.
L’isola d’estate era invasa da ragazzi, di sera si sentivano suonare le loro chitarre e le fisarmoniche dei linosani. Si respirava un’aria di libertà, giravano soldi e niente droghe, solo un po’ d’erba e alcol.  L’isola era tranquilla, mai una rissa, molti venivano per fare le immersioni, un turismo di giovani, di amanti del mare e della natura. E ci si divertiva, ricorda Fedele.

Avevano aperto una discoteca, costruito un villaggio turistico con le abitazioni nel tradizionale stile linosano. Nei primi anni ’80 in paese i turisti dormivano in quattro in una stanza. Veniva anche qualche artista, un famoso direttore d’orchestra vi rimaneva qualche settimana.

Per un decennio c’è stata questa crescita, è stato il periodo in cui si sono costruite molte nuove abitazioni soprattutto in campagna, sempre più richieste dai turisti.
Per Fedele e per quelli della sua generazione quegli anni si sono trasformati in una specie di leggenda.
Poi tutto è finito in un breve volgere di anni. Il villaggio e la discoteca hanno chiuso, le presenze turistiche hanno cominciato a diradarsi.

Di sicuro Linosa è cara. È caro raggiungerla. Lampedusa per chi viene dal continente è molto più economica.
Da un anno al cimitero delle ambizioni turistiche dell’isola si aggiunge il grande corpo del Linòikos, una struttura di proprietà della diocesi di Agrigento che, gestita da una cooperativa, era stata trasformata in un magnifico residence, elegante e sobrio, silenzioso, che ospitava ogni
anno la mostra di un artista: una alternativa residenziale comoda ed economica
alla vacanza sempre un po’ arruffata nelle case dei linosani.
Una vertenza fra la cooperativa e la proprietà si è conclusa con la chiusura del Linòikos, oggi in vendita ad una cifra astronomica.

In attesa, dice qualche linosano, che un cinese passi da queste parti. Ma i cinesi qui non arrivano.

Ogni estate, ma solo per 20 giorni ad agosto, l’isola torna a riempirsi. È poco, troppo poco per poterci campare un anno, dicono tutti. Perché il resto del reddito viene dalle pensioni, il poco che
gira attorno a un paio di cantieri edili, le assunzioni della Forestale.
C’è stato un po’ di abusivismo, dice Pietro, che parla un ottimo italiano, impreziosito da quella locale cadenza sentenziosa, musicale, fra le più belle in Sicilia.  Un poco di abusivismo, necessario;
per poter affittare ai turisti d’estate, aggiunge riflessivo.

Anche se ormai molte case sono vuote, in vendita, e nessuno le compra.
A 50 anni Pietro sa che la sua potrebbe essere l’ultima generazione che abiterà l’isola. E così prima di venire ad aprire il bar dove non entrerà forse nessuno per il resto della mattinata, è andato in campagna perché quest’anno ha di nuovo coltivato le lenticchie. Come altri linosani.

Durante gli anni del sogno turistico a coltivare capperi e lenticchie erano rimasti in pochi. Adesso, dice Pietro, sembra esserci un ritorno all’agricoltura, alla coltivazione delle lenticchie: un ritorno
alle origini.
Tornare all’agricoltura per cercare di trattenere sull’isola gli adolescenti, i bambini di oggi.  Anacronismi? Alle pareti del bar ci sono molte fotografie, in una c’è Ugo Tognazzi in bianco e nero, chissà perché.
Qui, dice Pietro d’inverno è dura. Fa freddo, le case non sono attrezzate, l’umidità attraversa le mura ed entra nelle ossa.

Alle 5 di pomeriggio è buio e per strada non vedi anima viva. Ma non si vede anima viva neppure in questa luminosa mattina di aprile.
Unni semu  cca, cu semu? chi ci facemu? esclamava Enzo  il pescatore indicando la strada dove si affaccia il municipio, naturalmente vuota alle otto di sera.
Si vedono in giro invece tanti gatti che guardano curiosi e diffidenti, come spesso gli abitanti  delle isole guardano il forestiero.