Il 66% degli omicidi di attivisti ecologisti nel mondo avvengono in sette paesi dell´America Latina in un clima di impunità
di Mauro Morbello
Troppo spesso, purtroppo, i mezzi di comunicazione di massa non diffondono notizie che possono essere scomode per i centri di potere, soprattutto del potere economico. Per questo poche persone – in Italia pochissime – sono per esempio a conoscenza del fatto che in alcuni paesi del mondo essere un ecologista significa rischiare seriamente la vita. A volte, troppo spesso, rischiare di perderla. Si, perché i morti per difendere la natura da coloro che sono interessati a depredarla sono davvero molti. Troppi.
Secondo dati raccolti dalla ONG Global Witness, con 185 morti ufficialmente confermate, 69 in piú rispetto all´anno precedente, il 2015 – ultimo anno di cui si dispone di dati ufficiali – é stato quello con il maggior numero di ecologisti assassinati della storia. In realtá si stima che le morti potrebbero essere molte di piú, perché le vittime registrate sono solo quelle di cui si é resa pubblica la morte da ricondurre con certezza all´attivitá in difesa dell´ambiente.
In ogni caso, anche contando solo i dati ufficiali, gli ecologisti assassinati sono quasi il doppio dei giornalisti uccisi nel 2015, molti dei quali morti in situazioni di guerra. Ma di fatto non é una esagerazione affermare che anche gli ecologisti sono vittime di guerra. La guerra brutale, sporca e senza scrupoli della depredazione delle risorse. É per questo che la maggioranza degli assassinati di attivisti in difesa dell´ambiente é avvenuta in paesi ricchi, anzi ricchissimi, di risorse. La maggioranza dei quali si trova in America latina che, da sola, anche nel 2015 come negli anni precedenti, mantiene il triste primato del maggior numero di ecologisti assassinati (66%) nel mondo.
Tra i primi 10 paesi che nel 2015 hanno registrato il maggior numero di vittime, ben 7 sono latino americani: Brasile, con 50 assassinati, Colombia 25, Peru e Nicaragua 12, Guatemala 10, Honduras 8 e Messico 4. Tutti paesi ricchi di risorse naturali dove chi le difende spesso muore nell´intento. É cosi che 42 (22.7%) dei 185 assassinati del 2015 sono direttamente associati allo sfruttamento minerario (in Perú arriviamo addirittura all´80%); allo sfruttamento agroalimentare, principalmente quello legato alla produzione di palma da olio (11%); sfruttamento del legname (8%) e dell´acqua per la produzione idro elettrica (8%).
Se estendiamo il periodo dell´analisi tra il 2002 e il 2015, Global Witness ha potuto documentare un totale di 1.176 casi di ecologisti assassinati. Un vero e proprio massacro. Sono dati che evidenziano che effettivamente é in corso una guerra.
Da una parte ci sono coloro che difendono la terra, l´acqua, i boschi dove hanno vissuto da generazioni in equilibrio con la natura. Difendono i propri beni, quasi sempe gli unici di cui dispongono, da altri, che vengono spesso da lontano per depredare le risorse e arricchirsi, senza importare il danno. É una guerra asimmetrica, con una parte che dispone di mezzi, protezione e potere e l´altra che si deve difendere solo con la forza delle proprie ragioni.
In questa guerra ingiusta, un determinato territorio, o una nazione, che dispone di risorse naturali diventa il campo di battaglia. Un campo di battaglia in cui si gioca la nuova frontiera per la difesa dei diritti umani. Con frequenza la difesa dei diritti dei piú deboli, che in America latina sono le popolazioni indigene. Complessivamente sono meno del 6% della popolazione mondiale, vivono su circa il 20% del territorio, ma sono state indigene il 40% delle vittime di assassinato di ecologisti nel 2015.La ragione é che i loro territori sono generalmente intatti e fanno particolarmente gola a coloro che hanno come obbiettivo di depredare risorse naturali, senza remore rispetto al livello di violenza da utilizzare per ottenerle.
Il caso dell´Honduras é emblematico per evidenziare il dramma che stanno vivendo le popolazioni vittime dei soprusi di un sistema che vuole appropriarsi ad ogni costo delle loro risorse. L´Honduras é un piccolo paese centro americano con 8 milioni di abitanti, ricco di risorse naturali e con il 30% del proprio territorio attualmente giá destinato a concessioni per lo sfruttamento di materie prime. Nel 2009 il presidente democraticamente eletto, Manuel Zelaya, venne destituito dalla Corte Suprema, con un meccanismo definito da molti come un colpo di stato istituzionale e sostituito dal presidente del parlamento, Roberto Micheletti, rappresentante della destra economica e imprenditoriale del paese. Da allora e sino al 2015 – il dato é davvero emblematico – rispetto al numero di abitanti l´Honduras presenta per 6 anni consecutivi il piú alto tasso di assassinati di ecologisti del mondo.
Ed é proprio in Honduras che il 3 marzo 2016 venne assassinata l´attivista per i diritti umani e l´ambiente Berta Cáceres, coordinatrice del Consejo de Pueblos Indígenas de Honduras (COPINH), líder della comunitá indigena ”Lenca”. Poco meno di un anno prima di essere assassinata, Berta Caceres aveva ricevuto il premio Goldman per la difesa dell’ambiente, praticamente il premio nobel dell’ ecologia, per la lotta che portava avanti da anni per evitare la costruzione della diga idroelettrica “Agua Zarca” sul fiume Gualcarque. Tale costruzione comportava la distruzione di un eco sistema considerato sacro dal popolo “Lenca”, oltre all´evacuazione della popolazione indigena dei villaggi della zona. L´impresa responsabile dei lavori era la hondureña DESA associata alla cinese Sinohydro, che contavano con il finanziamento della Banca Mondiale e di una societá finanziaria olandese. Grazie alla resistenza organizzata da Berta Caceres, l´organizzazione indigena riuscí a boccare i lavori durante quasi due anni. La resistenza non era stata indolore. Durante i primi mesi era costata giá la vita a 4 attivisti dell´organizzazione e, nonostante reiterate richieste di protezione mai attese dagli organismi dello Stato, dopo innumerevoli minacce costó la vita alla stessa Berta Caceres, assassinata con due colpi sparati a bruciapelo da un sicario entrato impunemente a casa sua.
La ricostruzione del crimine, avvenuta per le pressioni nazionali e internazionali sul governo dell´Honduras per la rilevanza che aveva assunto la figura di Berta Caceres dopo aver vinto il premio Goldman, evidenzió che il mandante dell´omicidio era un dirigente dell´impresa DESA incaricata della costruzione della diga; l´organizzatore operativo risultava essere il responsabile della sicurezza della stessa impresa in collaborazione con un ufficiale di polizia, che avevano assoldato un sicario per l´esecuzione materiale. Il prezzo della vita di Berta Caceres era stato di appena 2.000 dollari.
Purtroppo questo assassinato non serví ad aumentare la protezione in favore di altri ecologisti impegnati a difendere l´ambiente. Meno di 2 settimane dopo l´ assassinato di Berta Caceres venne infati ucciso un altro attivista della stessa organizzazione, Nelson García, 38 anni. Con un colpo sparato in faccia.
Nella maggioranza dei casi di assassinato di ecologisti si evidenzia in maniera chiara che esistono connivenze e complicitá tra attori economici e autoritá. Secondo i dati raccolti da Global Witness nel 2015 si sono potuti documentare 16 casi di omicidi commessi da paramilitari, 13 dall´esercito e 11 dalla polizia. La situazione é paradossale considerando che, come abbiamo evidenziato, l´ambiente é il nuovo scenario nell´ambito del quale si gioca la difesa dei diritti umani, che dovrebbero essere una prioritá, come valore da difendere da parte degli Stati. In realtá spesso succede il contrario. Le autoritá prendono la difesa di chi lede, non di chi difende, i diritti umani.
É proprio in America latina che si intrecciano la maggior parte delle circostanze che rendono esplosivo il conflitto tra chi lotta per difendere le risorse naturali e coloro che con qualsiasi mezzo se ne vogliono appropiare.
Da un lato in America latina si concentrano enormi ricchezze naturali che stimolano il forte interesse di imprese che hanno come fine lo sfruttamento delle risorse. A questo si somma il fatto che i paesi della regione non sono mai purtroppo riusciti ad uscire da un modello di sviluppo – o meglio di sottosviluppo – economico basato quasi esclusivamente sull´esportazione primaria dei loro prodotti. Tale situazione, sin dal periodo della colonia spagnola, ha implicato la promozione di particolari agevolazioni in favore di investimenti esteri volti a favorire soprattutto imprese estrattive o di monocoltivazioni estensive. Negli ultimi 40 anni tali condizioni hanno ricevuto una ulteriore accelerazione grazie alla diffusione di logiche neoliberiste volte a promuovere l´assoluta libertá del mercato riducendo, e spesso annullando, controlli e regolamentazioni che ne potessero ridurre l´affermazione. A tutto questo si somma infine il retaggio dell´epoca coloniale, legato alla persistente esistenza in America latina di un modello di sfruttamento delle elite al potere sulla massa dei cittadini, in particolare delle popolazioni indigene considerate di fatto un ostacolo per ottenere ricchezze. Considerando la somma di tutti questi elementi non c´é quindi da stupirsi se proprio l´America latina ottiene il triste primato mondiale del numero di vittime legate alla difesa delle risorse naturali.
Purtroppo non si vedono molte luci all´orizzonte, anzi. Dopo un periodo che, dalla fine degli anni ’90, aveva visto l´affermazione di governi progressisti in alcuni paesi della regione, negli ultimi anni si assiste invece ad una fase di restaurazione che, a partire proprio dall´Honduras giá citato, ha visto nuovamente cadere vari paesi (Argentina, Brasile, Paraguay) in mano a governi di estrazione neoliberale utilizzando meccanismi non sempre trasparenti. In tali paesi vengono con frequenza nominati in posizioni di massimo rilievo per la gestione delle risorse naturali personaggi provenienti da imprese nazionali o multinazionali con una traiettoria opaca. In tal senso – ma ne esistono moltissimi altri – un caso emblematico é quello dell´attuale Ministro dell´agricultara del Brasile Blairo Maggi, nominato dal presidente ad interim Michel Temer che nel 2016 ha sostituito la presidentessa eletta Dilma Roussef dopo un discutibile giudizio di impeachment.
Per descrivere il signor Maggi valga solo indicare che é il proprietario della píú importante societá individuale al mondo che produce soia e che nel 2005 vinse il premio “motosega d´oro” di Greenpeace per il disboscamento massivo che aveva realizzato in terreni di sua proprietá nella regione amazzonica del Brasile.
Con questi chiari di luna non é certo facile sperare in un futuro migliore. D´altra parte peró il sacrificio di Berta Caceres e delle migliaia di ecologisti che sono morti per difendere i valori in cui credevano, sono un incitamento irrinunciabile per continuare a lottare in difesa dell´ambiente. Che in realtá é la nuova frontiera della difesa dei diritti dell´uomo. Cioé dei diritti di noi tutti. Che se non saremo capaci di difendere ci saranno con sicurezza espropriati.