G7, Taormina, Trump e le manate per farsi avanti, gli imbarazzi e le divisioni, le firts lady, i 10mila in uniforme a difendere cosa? Le abitudini che rendono pietre miliari le informalità che non rispondono a nessun mandato.
di Angelo Miotto
@angelomiotto
Era il 1971. Il crollo di Bretton Woods, poi la crisi energetica del 1973: il Segretario al Tesoro statunitense George Schultz riunisce i quattro Paesi più industrializzati ((Francia, Germania, Regno Unito, USA) in un forum per le questioni di cooperazione economica e monetaria, a livello di Ministri dell’economia. Nel 1974 venne coinvolto anche il Giappone, dando origine alla denominazione G5; l’anno successivo, su iniziativa del Presidente francese Valéry Giscard d’Estaing venne convocato e ospitato a Rambouillet il primo Vertice in formato G6, con la partecipazione anche dell’Italia: l’obiettivo era discutere di temi economici e finanziari globali nel quadro di quello che venne definito un “Summit economico” tra i Capi di Stato e di Governo delle sei maggiori economie mondiali.
Inizia così la storia del G7, che molti fra voi leggono ossessivamente sui giornali on line, sulla carta e nei brevi e ripetitivi servizi dei tg, con lo splendido sole di Taormina e tutto il pettegolezzo aggiunto che fa tanto colore, per carità non ne abbiamo mai abbastanza. Scarseggiano invece le notizie. Una di queste, prima di ripetere che il G7 di questa edizione è particolarmente inutile, sta proprio nella sua genesi come ci ricorda la stessa Farnesina nel suo sito.
Crisi economica ed energetica, un ministro Usa decide di mettere le grandi economie al tavolo, informalmente. Poi l’esplosione dell’agenda da fine anni Novanta e così i 7 grandi parlano di tutto e noi leggiamo anche il menu e delle spesucce a bordo di auto elettriche. Degne di quelle rubriche di Cuore che facevano ridere e che oggi troviamo, invece, nelle colonne destre o in centro pagina sui grandi giornali italiani on line.
La notizia è che il G7, di per sé, non avrebbe, non ha nessuna legittimità, intesa come istituzione.Non c’è una legge, un accordo che lo istituisca.
Eppure si dà un rilievo ( e si spendono una barca di soldi, tempo, parole e minuti) tale da far pensare anche al distratto uomo della strada che succhia i titoli, senza nemmeno abbordare un sommarietto, che il G7 sia qualcosa di estremamente familiare e importante.
In realtà non si capisce bene, ai tempi della tecnologia della rete, perché si debbano trovare in un luogo tutti insieme, con abitini diversi e delegazioni al seguito. È il gioco dei ruoli, anche quello ci sembra normale ormai, che si perpetua e che ci appare normale. Non lo è, non smettiamo mai di dirlo.
Allora eccoci a Taormina con divisioni sul clima – Trump cattivo, Europa buona – con la Brexit e le lusinghe di Trump alla signora May, con l’immigrazione che finisce dentro il capitolo sicurezza, il terrorismo, i cyber attacchi, il cambio climatico, una sfilza di argomenti che se andrà bene finiranno dentro un documento che ci si sforzerà di descrivere come un impegno a livello internazionale.
È una passerella, anche squallida, di costumi alla moda e di diplomazie che non hanno bisogno di trovarsi faccia a faccia per decidere qualche cosa. Se ci sono proteste scatta il circo della sicurezza e dell’ordine pubblico versus dissenso. I più tradizionalisti diranno che mi sfugge l’importanza delle dichiarazioni e delle smorfie, dimenticando che le politiche che si annunciano a Washington difficilmente si cambiano a Taormina, o che la ‘foto di famiglia’ (pessima espressione fra l’altro) è spesso un capolavoro di ipocrisie. Insomma, i delegati da un voto che si trovano in un luogo informale, cui si deve dare formalità internazionale su decisioni spesso così limate da essere inconcludenti.
Il rigore logico vorrebbe che una cosa inutile venisse soppressa. Ma le famniglie di G (7, 8, 20) hanno avuto vita prospera nelle ultimne decadi.
Ci sarebbe da svegliarsi da questo torpore delle abitudini indotte e pensare con calma a questa situazione, da inquadraare forse, suggerisco, sotto una luce diversa, più vera e meno feuilletton. E poi semplicemente affermare che non esiste.
Non esistono i 7 grandi. E i Gqualcosa sono la plastica dimostrazione del potere autoriferito e autoreferenziale, dove sono sempre gli interessi elettoralistici a tenere banco, non certo quelli dij comunità industrializzate che hanno a cuore le sorti del benessere dei popoli e del pianeta. A volte, spesso, lo storytelling ufficiale stupisce, perchè riesce a essere sempre ipnotico anche in tempi di contestazione delle forme della politica istituzionale.
Ricordatevelo quando sentirete del documento finale, delle first lady a confronto, quando i giornalisti direanno ‘Melania’ o ‘Mel’, delle griffe nelle foto. È solo un pessimo miraggio. Guardatevi allo specchio e chiedetevi che cosa hanno a che fare quei simposi con voi, con noi, con l’interesse generale.
Una chiusa su un ricordo, del tutto personale. Il G questa volta 8 di Genova del 2001 e una foto molto bella con uno striscione che avevo visto sfilare in quei giorni accompagnato da grandi animali in gomma piuma. C’era scritto ‘Otto grandi maiali’. Ecco, mi è rimasto scolpito nella memoria, come un riflesso condizionato. Ogni volta che sento una G e un numero che segue non posso fare a meno di veder ballare quei grandi porci di gommapiuma davanti ai miei occhi.
E non fanno nemmeno ridere.