In risposta all’aumento delle tasse sulle bevande zuccherate, il colosso americano cancella un investimento da 40 milioni di euro
di Marcello Sacco, da Lisbona
Sembra letteratura latinoamericana: la grande multinazionale a stelle e strisce che tenta di manipolare, con la sua straordinaria capacità di pressione, la politica economica di un piccolo Paese affacciato sull’oceano. E invece siamo in Europa, in Portogallo, e la notizia è sui giornali portoghesi già da un bel po’, ha animato qualche interrogazione parlamentare, ma ora se ne sentono le conseguenze anche ai banconi dei bar e nelle navate dei supermercati.
No, in Portogallo non c’è emergenza pane, pasta, riso o medicinali. Non manca nemmeno il vino, ma pare cominci a scarseggiare la Coca-cola. Il governo portoghese, nella sua ricerca di una via d’uscita dall’austerità che fosse anche sostenibile, non ha certo abbassato le tasse ovunque.
Al contrario, la pressione fiscale rimane alta, ma si è spostata, interrompendo quell’attacco ai salari cui il precedente governo di destra ci aveva abituati. I risultati ci sono, sebbene governo e opposizione se ne contendano i meriti, come era prevedibile: Lisbona è uscita dal programma per deficit eccessivo, la crescita del primo trimestre dell’anno è salita al 2,8% e pare che perfino al ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schäuble, sia sfuggito l’epiteto “Ronaldo dell’Ecofin”, attribuito all’omologo lusitano Mário Centeno, che qui molti già vorrebbero vedere al posto di Jeroen Dijsselbloem, capo dell’Eurogruppo.
Tra le varie nuove tasse introdotte o innalzate alla fine dell’anno scorso, ha fatto particolarmente discutere una entrata in vigore a febbraio: la Fat Tax, detta anche Sugar Tax, ma diventata famosa tra la gente come “tassa Coca-cola”, perché aumenta da 15 a 30 centesimi il prezzo delle bevande zuccherate, considerate nocive o quantomeno non proprio salutari, viste anche le ultime notizie per cui, secondo il recente rapporto dell’OMS, il Portogallo starebbe scalando in fretta le classifiche europee dell’obesità infantile.
Per tutti questi motivi, i proventi di questa tassa, che colpisce altre bevande alcoliche ma esenta i vini, andranno a finanziare il Servizio Sanitario Nazionale, sistema sempre piuttosto sofferente in un Paese che solo d’interessi sul debito paga fra gli 8 e i 9 miliardi annui, proprio quanti se ne spendono per la salute e più di quanti non se ne spendano per la scuola pubblica.
E cosa fa il colosso americano? Per cominciare cancella un investimento da 40 milioni di euro nella fabbrica di Palmela, a sud di Lisbona, seminando inoltre paure di licenziamenti e delocalizzazione della produzione.
Poi tenta anche l’improbabile strada dell’incostituzionalità della legge (aveva funzionato con certi tagli del precedente governo a stipendi e pensioni, hai visto mai…) e nel frattempo riduce la produzione e la distribuzione, facendo sparire dal mercato alcune marche. Te ne accorgi andando al bar, dove il Cuba libre non è più lo stesso e perfino il gin tonic ha perso smalto (la Coca-cola qui distribuisce diversi tipi di acqua tonica e bevande energetiche).
Bevano un bicchierino di Madeira, avrebbe detto quella buongustaia della regina Maria Antonietta. I due Ronaldos, quello vero del Real Madrid e quello dell’Ecofin, annuiscono.