Di panico si può morire. Come studiare le interazioni dinamiche fra individui in una folla e capire come si genera il panico
di Bruno Giorgini
Estratto. La paura è diventata una componente sempre più presente nella società europea, e su tutto il pianeta, influenzando l’opinione pubblica, la politica e i governi. Si trovano sempre più spesso dizioni come: gli imprenditori della paura, riferendosi a questi così come si parla della lobby dei petrolieri.
Sovente avvengono pure transizioni dalla paura al panico. Si pone un evidente problema di governance della paura che senza controllo può degenerare in forme di violenza sociale, in movimenti politici a dominante antidemocratica, in momenti di caos e/o di frane/crolli che si propagano molto rapidamente per esempio nel sistema finanziario. Si tratta di mettere in atto un sistema di protezione civile contro la paura e il panico. Un contributo può venire dalla ricerca scientifica.Il problema della descrizione e comprensione dei sistemi cognitivi, è stato recentemente considerato non solo per quanto attiene i comportamenti razionali, ma anche tenendo conto del libero arbitrio e del campo delle decisioni irrazionali.
In quest’ottica si può costruire un modello di dinamica degli individui che preveda l’emergere della paura fino al panico.
Per fare questo abbiamo introdotto una struttura cognitiva interna ai componenti elementari il sistema, cioè gli individui, che permette la definizione di una dinamica del singolo basata su meccanismi decisionali. Inoltre dalle osservazioni empiriche e analizzando i dati è possibile dedurre eventuali leggi statistiche macroscopiche.
Il risultato scientifico consistente è, nel caso di dinamiche pedonali, la scoperta di un legame tra i due livelli, talchè dal comportamento individuale si può comprendere e descrivere la dinamica globale di folla, reale – in una piazza, un campo sportivo, ecc.. – o virtuale – nel web, nei social media, nelle interazioni finanziarie. In questo quadro prende corpo un’equazione per la dinamica di folla che rende possibile prevedere e misurare – in senso statistico – la soglia oltre la quale è altamente probabile che insorga il panico. Questa capacità predittiva permette in linea di principio di progettare e mettere in opera azioni di prevenzione e/o contrasto.
La Paura e il Panico. Ecco la dinamica del terrorista come la racconta Peter Handke: “Il primo secondo di terrore lo utilizzi dunque per procurare un secondo secondo di terrore, e il secondo secondo di terrore per procurare un ulteriore secondo di terrore, affinchè, dato che tu stesso non sei colpito da alcun secondo di terrore, tu possa precederli sempre, proprio quando si stanno riprendendo da un secondo di terrore, col prossimo secondo di terrore che avevi procurato mentre loro si stavano ancora riprendendo dal primo secondo di terrore, sicchè in conclusione i secondi di terrore non hanno più fine.”
Se questa è la dinamica microscopica, l’effetto globale lo scrive un quotidiano, titolando a tutta pagina: “La paura contagia 8 milioni di italiani” con il seguente sottotitolo: “Studio del Censis: dopo i massacri di Parigi e l’avanzata dello Stato islamico, modificate le abitudini di vita. Evitati i principali luoghi simbolo, non si prendono treni e aerei e spesso non si esce più nemmeno la sera.”
La psicologa Martha Stout in “The paranoia switch” (2007) ha descritto “come il terrore riplasma i nostri cervelli e rimodella il nostro comportamento – e come noi possiamo recuperare il nostro coraggio”, indagando anche la relazione tra la paura e l’anima di una nazione, in specifico gli USA.
Una delle paure oggi più frequenti è quella dello straniero migrante o profugo che sia, in particolare mussulmano. Martha C. Nussbaum ha studiato l’argomento (“La nuova intolleranza”, 2012), occupandosi nel capitolo “Paura: un’emozione narcisistica” della relazione tra la paura e “comportamenti errati in materia di religione”. Per Nussbaum “Anzitutto, il timore di solito nasce da qualche problema reale (..) In secondo luogo, la paura può facilmente essere indirizzata su un oggetto che magari ha poco a che vedere con il problema di fondo, ma che serve come un facile surrogato (..)Terzo, la paura si nutre dell’idea di un nemico mascherato ”da cui l’intolleranza e/o l’idiosincrasia per il velo femminile. Inoltre “la paura per definizione contrae lo spirito”, concludendo il capitolo con: “La paura è una “preoccupazione offuscante”: un’intensa concentrazione su di sè che getta gli altri nell’ombra. Per quanto sia valida e addirittura essenziale in un mondo effettivamente pericoloso, costituisce in sè uno dei pericoli maggiori dell’esistenza.”
Potremmo continuare a cumulare definizioni e caratteristiche della paura ma quel che ci interessa ora è la transizione dalla paura al panico.
Durante il Memorial Day del 1883, il tacco di una donna si incastrò tra le assi dell’area pedonale sul Ponte di Brooklyn, appena inaugurato, e lei iniziò ad urlare. Le persone intorno, forse credendo che il ponte stesse per crollare, furono prese dal panico e nella ressa 12 persone persero la vita schiacciate sulle scale, mentre molte altri rimasero ferite.
Ai giorni nostri – settembre 2015 – oltre 700, se non 800, persone sono morte, circa mille ferite, schiacciate e soffocate nella calca durante una tappa rituale del pellegrinaggio, l’Haji, alla Mecca, nella città santa di Mina.
Non è la prima volta che accade una strage dovuta all’insorgere del panico alla Mecca, ma anche in un concerto rock – a Duisburg nel 2010 durante la Love Parade nella ressa indotta dal panico morirono 19 giovani – o in altre situazioni che vedono la convergenza di masse grandi di individui a contatto.
Ogni anno centinaia di persone perdono la vita per i fenomeni traumatici dovuti alla dinamica di una folla in preda al panico.
Alla voce panico scrive lo Zingarelli: timore repentino che annulla la ragione e rende impossibile ogni reazione logica.
Su Wikipedia leggiamo: stato di paura o terrore per lo più collettivo e improvviso non soggiogato dalla riflessione, che nasce a fronte di un pericolo reale o presunto, portando irresistibilmente ad atti avventati o inconsulti.
Quindi una follia, un impazzimento, per cui non resta altro che fare appello agli psichiatri. In quest’ottica evidentemente non c’è speranza di poterlo modellare per via razionale, tanto meno con la ragione fisica e/o matematica.
Però D. Helbing, A. Johansson e H. Zein Al-Abiden hanno pubblicato nel 2007 un interessante articolo – Dynamics of crowd disasters: An empirical study – dove prendono in esame le videoregistrazioni che documentano il disastro dovuto alla pressione della folla in stato di panico durante il pellegrinaggio alla Mecca del 2006, quando alcune centinaia di persone morirono schiacciate, migliaia rimasero ferite e traumatizzate.
Nell’articolo citato si individuano tre transizioni di regime, da uno stato laminare ordinato, allo stop and go, del tipo di quello che sperimentiamo in autostrada nelle situazioni di grande traffico, fino alla turbolenza dispiegata. Se vogliamo una rappresentazione casalinga del fenomeno, basta che apriamo il rubinetto. All’inizio avremo una colonna d’acqua che sembra ferma, stato stazionario, quindi comparirà una pulsazione, stato periodico, poi continuando a aprire il rubinetto, cioè aumentando l’energia, il moto dell’acqua diventerà via via più irregolare e aperiodico fino alla turbolenza.
L’equazione del panico. Di fronte a queste conclusioni proposte dall’osservazione empirica, l’idea è quella di investigare l’insorgenza del panico e le sue dinamiche in contesti economico-sociali, usando la Filosofia Naturale e i metodi fisico-matematici.
Il primo passo è individuare degli indicatori abili a segnalare la possibile insorgenza di comportamenti dovuti al panico, il secondo attiene la capacità di modellare la transizione al panico in un generico sistema socioeconomico contribuendo a un approccio scientifico per la governance del fenomeno.
In letteratura si possono trovare molte diverse definizioni di panico. Nella nostra filosofia siamo interessati a sistemi dove il panico si manifesta come un improvviso e drastico cambiamento dei comportamenti collettivi, cambiamento dovuto alla rottura dei legami sociali. Quando all’interno di un gruppo si spezzano i legami e l’identificazione col gruppo decade, ogni individuo sentendosi abbandonato a se stesso precipita nel panico. In particolare ci concentriamo sulle situazioni dove questa frattura è dovuta allo scambio di informazioni tra componenti elementari, che cominciano a interagire come entità fortemente competitive e conflittuali.
Da questo punto di vista i social network (Facebook, Twitter, Whatsapp, ecc.) sono una miniera da cui attingere un’enorme quantità di informazioni.
Quel che cerchiamo non sono cause di panico esterne evidenti, per esempio un’esplosione o lo scoppio di un incendio in uno spazio affollato, ma la dinamica endogena che può portare al panico pure quando non riusciamo a individuare cause macroscopiche univoche e ben definite (l’esempio di Torino la sera del 3 giugno 217 è emblematico).
Quel che possiamo fare è osservare finemente la dinamica dei componenti elementari, cogliendo i segnali di una perturbazione, o più, che si cumula e/o si propaga fino all’insorgenza esponenziale del panico. Parleremo in questo caso di panico sistemico, ovvero in nuce, o meglio in potenza, connaturato al sistema in studio. Aggiungiamo che praticamente in ogni aggregato/sistema i cui componenti elementari siano dotati di libero arbitrio scambiandosi informazioni – cioè energia – su un network, si annida una, o più, possibilità di panico.
L’osservazione fine dei comportamenti dei singoli componenti il sistema è oggi possibile dato il grande sviluppo delle tecnologie ICT (Information Communication Technology), con ovvie precauzioni e regole per la salvaguardia della privacy.
Una volta acquisiti i dati, possiamo analizzarli vedendo se la loro distribuzione nello spaziotempo può essere descritta secondo una qualche legge statistica per un verso, e per l’altro su questa base possiamo tentare di mettere in forma un modello fisico-matematico per la dinamica microscopica. Infine possiamo implementare le nostre equazioni su un computer simulando i fenomeni che ci interessano. Più precisamente possiamo costruire degli esperimenti in silico variando le condizioni e i parametri fino alla insorgenza del panico, e per questa via definire i parametri di controllo e/o governo del sistema nonchè i limiti di soglia oltre cui appunto il panico si innesca. Questa fase di simulazione/sperimentazione in silico è particolarmente importante, poichè nei casi di panico esperimenti fisici non possono essere messi in atto per evidenti ragioni etiche.
Inoltre la sperimentazione virtuale permette l’esplorazione di un amplissimo spettro di fenomeni socioeconomici con diversi gradi di complessità e valori dei parametri, cogliendo l’emergenza dei punti critici eventuali e le transizioni di fase, per esempio tra ordine e disordine, ecc. tracciando una road map fino al panico e quindi disegnando una topologia del panico. Panico che può essere assunto come limite provocato dalle molte crisi che oggi s’accapigliano, rinforzandosi a vicenda, nei sistemi socioeconomici.
Quindi nei nostri esperimenti virtuali studieremo anche come far fronte a quelle stesse crisi, prima che degenerino in panico. I modelli dovranno comunque trovare una conferma nella realtà, magari scoprendo, come spesso accade, l’acqua calda, cioè attivando il modello in situazioni non troppo complicate per vedere se i suoi risultati collimano con quelli reali, nel qual caso possiamo azzardarci applicandolo a fenomeni più intricati. A questo punto, se tutto va bene, siamo pronti per mettere in campo un sistema di e-governance abile a prevedere, misurare, e prevenire ove possibile, i fenomeni di panico, altrimenti almeno a trovare i modi per attenuarne gli effetti catastrofici.
Dunque nella folla si può annidare il germe del panico fino alla catastrofe.
La città quasi per definizione è “affollata”, e richiama le folle. Nella sua normalità, nelle grandi migrazioni, nei momenti di crisi, nei grandi eventi turistici culturali di spettacolo, nelle azioni politiche e/o sindacali. In città abita e vive più della metà della popolazione della terra, tra non molto i due terzi. Una quantità e complessità di individui, di popolazioni, di interazioni, di geometrie frastagliate, che si dispiega su scale spaziotemporali multiformi per parecchi ordini di grandezza, in linea di principio dalla prossimità all’intero globo.
Ogni decisione di un individuo anche semplice, per esempio in un bivio scegliere di svoltare a destra o a sinistra, è il risultato di processi complessi che valutano le informazioni disponibili, le esperienze pregresse e le propensioni individuali, nonché il libero arbitrio.
A questo punto siamo in grado di costruire la nostra equazione del panico. Nell’ambito del paradigma dinamico che stiamo delineando, lo stato cognitivo interno di un individuo crea una interfaccia tra gli stimoli esterni e la loro elaborazione da parte del soggetto, dalla percezione alle intenzioni e propensioni, fino alla decisione dell’azione da intraprendere, interfaccia che simula in qualche modo l’attività cerebrale. In questo schema l’attività cerebrale può essere letta come una evoluzione dinamica degli stati, e il cervello come un sistema dinamico, per quanto estremamente complesso, forse l’oggetto, con la città, più complesso dell’universo.
Nel contempo consideriamo una funzione utilità che misura il valore di aspettazione della propensione dell’individuo in funzione dell’informazione disponibile e della memoria di precedenti esperienze simili o analoghe, sulla cui base egli farà la sua scelta e/o prenderà la sua decisione. Ogni componente elementare assume le sue decisioni in base a un ragionamento che valuta la funzione utilità, cercando di massimizzarla, ma proprio per l’esistenza di uno stato cognitivo individuale, non è possibile definire una razionalità universale, comune a tutti.
Ciascuno deciderà sulla base del suo soggettivo ragionare, seppure bisognerà introdurre un parametro di cooperazione c tra componenti, che potrà essere minore, maggiore o uguale a zero. Sarà minore di zero per i misantropi, uguale a zero per gli individualisti, maggiore di zero per i filantropi (si tratta di una schematizzazione piuttosto rozza per un sistema più fine e più modulato, potendosi avere nello stesso individuo a seconda delle situazioni valori diversi di c).
Inoltre ovviamente potranno esistere nel sistema degli stati normati, ovvero per cui esiste una norma (di legge o di struttura o altro) cui tutti devono in linea di principio adeguarsi o convenire.
Un rumore stocastico di fondo rappresenta gli effetti delle interazioni impredicibili che non influiscono sulla funzione utilità, ma possono cambiare lo stato cognitivo dell’individuo.
La folla viene rappresentata come un gas di atomi “intelligenti”, ovvero di particelle in grado di processare informazione, tecnicamente un gas d’automi. Ogni automa è dotato di una memoria (il passato), di una visione (il presente), di una pre/visione (il futuro) e infine del libero arbitrio, meglio free will, la libera volontà. Ogni automa è definito dal suo stato cognitivo interno, e da uno spazio sociale, lo spazio permesso agli amici e da cui tendiamo a escludere gli estranei, tipicamente lo spazio della stretta di mano.
Se la funzione utilità, rappresenta la razionalità sociale condivisa a un certo tempo e in un certo spazio da un gruppo, e/o da una folla, definiremo una temperatura sociale che misuri invece il livello di free will, ovvero è un parametro tipicamente e solo individuale, l’irruzione del libero arbitrio sulla scena della dinamica. In modo qualitativo possiamo esemplificare cosa sono la funzione utilità e la temperatura sociale con un esempio.
Consideriamo Bagnoli quando era attiva l’Ilva. Ebbene la funzione utilità era grande, ovvero allineava molte persone, operai, tecnici, impiegati, e le loro famiglie. L’Ilva proponeva e organizzava non solo materialmente, ma anche dal punto di vista cognitivo e dell’informazione, la razionalità sociale condivisa nella comunità di Bagnoli, dall’identità al sostentamento delle famiglie, dalla partizione del tempo fino alla mobilità. Mentre la temperatura sociale, cioè l’energia legata al free will individuale era bassa (emergeva al più nel tempo cosidetto libero, ma anche lì pesava l’Ilva), e non contava o contava poco nell’assetto collettivo.
Viceversa quando l’Ilva chiuse, il free will prese il sopravvento, mentre la funzione utilità precedente tendeva a zero, e i casi di panico furono molti.
Qualcuno arrivò al suicidio, qualcuno finì disperato, qualcuno trovò la camorra, cioè un’altra organizzazione cui aderire e infine qualcuno si aggregò in nuove forme di autorganizzazione, cioè la funzione utilità diventò più complessa, e la temperatura sociale comunque stabilmente più alta.
A questo punto possiamo scrivere una equazione che, mettendo in relazione le osservabili prima indicate (utilità, temperatura sociale, rumore stocastico di fondo, valore del parametro c), descriva l’evoluzione degli stati cognitivi del singolo automa (equazione alla Langevin) e anche costruire una teoria di campo medio che dia conto, almeno statisticamente, del comportamento collettivo.
Come sempio qualitativo possiamo prendere in considerazione una piazza aperta solo da due lati, dove un gruppo entra da uno dirigendosi verso l’altro,i rossi, e viceversa i blu fanno il cammino inverso. Mano a mano che aumentiamo la densità, la dinamica governata dalla nostra equazione alla Langevin evolverà in modo diverso. Quando gli automi sono pochi, ciascuno potrà scegliere il suo percorso in modo quasi arbitrario senza rischio di urtare o farsi urtare, fatta salva la direzione in un verso o nell’altro opposto, a seconda che appartenga alla categoria dei rossi o dei blu.
Crescendo il numero degli individui, lo spazio sociale comincia a essere a rischio e, per certi valori del rapporto tra utilità e temperatura sociale, si ottengono dentro la folla delle forme di autorganizzazione, per esempio delle microcorrenti di individui effettivamente osservate e delle file. Ma poi ci sono valori del rapporto tra utilità e temperatura sociale (che misura, lo ricordiamo, il libero arbitrio) per i quali un individuo comincia a saltare da una fila all’altra (in gergo tecnico abbiamo una biforcazione), non riuscendo a decidersi e entrando in una situazione caotica, che è all’origine del panico. Egli perde la sua appartenenza al gruppo di riferimento, per cui decide una strategia totalmente egoistica, selfish.
E sono sufficienti pochi individui che si pongono in questa condizione caotica perché il panico si diffonda rapidamente in una folla anche molto numerosa, come appunto accadde alla Mecca nel 2006, quando bastarono una decina di persone che cercavano di invertire il loro cammino per provocare il caos e quindi il panico in una folla di circa un milione di pellegrini, con le nefaste conseguenze che abbiamo detto all’inizio.
Abbiamo scelto un esempio piuttosto semplice dove la decisione è binaria (destra, sinistra; rosso, blu) ma l’equazione funziona anche per uno spettro più ampio di possibilità. Inoltre l’equazione può facilmente essere estesa a folle virtuali, dove gli individui sono distanti nello spazio fisico, ma connessi e adiacenti nel web, essendo che nelle piazze come nella rete, l’informazione e il free will sono comunque i due termini decisivi della partita.
Conclusioni. In una società sempre più permeata dalla paura, con fenomeni individuali e collettivi di paranoia e panico che spesso sembrano sfuggire se non travolgere i criteri di razionalità, compresa quella particolare forma di razionalità che è la politica, lo sviluppo di studi scientifici in grado di comprenderne e prevederne le dinamiche è fortemente auspicabile.
Su questa base sarebbe possibile progettare e costruire una governance politico sociale atta a contrastare la paura e il panico onde evitare soluzioni catastrofiche, a partire dalle dinamiche di folla, reale e virtuale. Oggi infatti possiamo cominciare a studiarle usando un parametro di controllo (il rapporto tra funzione utilità e temperatura sociale in linea di principio misurabili), e calcolando le transizioni tra ordine e caos, fino al panico.
Il discorso non è utopico poiché stiamo assistendo a uno sviluppo esponenziale delle tecnologie di localizzazione e comunicazione – ICT – disponibili. Infine un tale programma di ricerca andrebbe nel senso della convivenza civile, e dovrebbe procedere in un rapporto stretto con i cittadini, le istituzioni elettive e esecutive, collaborando a costruire una vera e propria protezione civile.