di Giusi Affronti
«Borgo Vecchio … è Borgo Vecchio». Totò Scavone, ex commerciante di Borgo Vecchio, si serve di una tautologia per raccontare il quartiere dove ha sempre vissuto. Ne ricorda il mercato, oggi scomparso, e il vecchio Cinema Archimede, ormai chiuso. Sentimenti di amarezza pervadono le interviste a Enzo Mancuso, puparo, e a Vincenzo Ingroia, pensionato e intagliatore di navi da crociera.
A pochi passi dal porto di Palermo, dai suoi Teatri e dalle boutique di Via Libertà, a Borgo Vecchio lastre ondulate di eternit chiudono i soffitti delle abitazioni fatiscenti.
Luigi Galluzzo, decoratore di carretti siciliani, offre ai turisti un tour guidato della città al galoppo dei suoi pony. A dividere Borgo Vecchio dai circuiti dei viaggiatori è una passeggiata lunga cinque minuti. Eppure, il tasso di disoccupazione nel quartiere ammonta al 40%; ne derivano una grave dispersione scolastica, criminalità e marginalità sociale. Borgo Vecchio, però, sembra non appartenere alla città. Appartiene solo a chi ci vive.
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Di Borgo Vecchio, dei suoi adulti e, soprattutto, dei suoi bambini racconta “Borgo Vecchio Factory” (2016), mediometraggio diretto da Claudio Esposito e realizzato da The Piranesi Experience.
Il film documenta il processo di rigenerazione urbana e sociale supportato, attraverso una campagna di crowd-funding, da associazioni locali senza scopo di lucro: Per Esempio, Arteca e PUSH. Dopo sei mesi di laboratori pomeridiani di pittura creativa per bambini con lo street artist comasco Ema Jons, il progetto ha condotto al trasferimento dei bozzetti dai fogli di carta, nel chiuso del centro sociale, ai muri del rione e alla realizzazione collettiva di quindici murales.
“Borgo Vecchio Factory” ha continuato a ridipingere l’epidermide dello sgangherato grigio quartiere, oggi museo a cielo aperto, con Alleg, Aris, Nemo’s, Bloom, Tilf e, soprattutto, ha coinvolto la comunità nella sistemazione del campetto di calcio.
Restituire un’occasione di gioco di squadra ai bambini. Insegnare loro che immaginare è possibile, nonostante la fatica di scegliere un titolo per i loro disegni. Perché non si conosce l’italiano e perché la vita può portarti presto a dover “giocare agli adulti”.