A volte ci sono oggetti che raccontano storie, storie di pezzi di mondo. A Cologno Monzese ci sono due macchine da cucire.
di Laura Sferch
Vi ricordate la storia della Scuola di italiano del Comune di Cologno Monzese e del Centro interculturale delle donne? Quei due centri che da vent’anni non solo insegnavano l’italiano, peraltro indispensabile se, soprattutto come donna, vuoi poterti esprimere con le tue parole, ma costruivano occasioni, perché donne migranti e native potessero condividere pezzi di cammino, curando relazioni e gettando ponti invece che ergendo muri?
E che il Comune voleva chiudere? Nonostante non dovesse mettervi neanche un euro ma semplicemente lasciare i due centri lì, nella palazzina di via Milano, dove già da anni stavano…
Ecco, come nelle peggiori delle storie il Comune “coerentemente con gli indirizzi del proprio mandato elettorale” ha deciso che quei centri andavano chiusi. Più che chiusi: cancellati, fatti sparire, perché non ne rimanesse nessuna traccia.
Tutto ciò nonostante il Comitato 16 marzo, ovvero la società civile, nato per contrastare la chiusura in solidarietà ai due centri, abbia tentato in tutti i modi di opporsi. A nulla sono valse più di tremila firme raccolte (3058 per la precisione un record per la città di Cologno, ben superiore ai 1740 voti guadagnati dalla Lega Nord nelle ultime elezioni…) campagne a suon di cultura e di poesia, mail bombing e giornate in piazza a dire “Cologno città aperta” e a mostrare che è possibile convivere pacificamente, con allegria e…alto tasso di scambio reciproco, indipendentemente dalle proprie origini.
E poi richiesta di consigli comunali aperti, negati perché alla gente è sempre bene non dare la parola specie se la pensa diversamente da te, e consigli straordinari, concessi perché non si può fare altrimenti, ma in cui si pone la “pregiudiziale “: ovvero qualcuno dice ne abbiamo già parlato e quindi non ne parliamo più e chi dovrebbe garantire diritto di parola a tutti, prontamente fa tacere.
Niente, quella scuola doveva essere chiusa e così è.
Ma, come nelle favole, arriva la fata buona che ancora non aveva fatto il dono e cerca di riparare allo scempio della strega cattiva.
La fata buona si chiama Cpia e fin dall’inizio aveva messo a disposizione 400 ore di corsi “regalandoli” al Comune che non doveva spendere proprio nulla. Il Comune anche a questo dice no, ma la fata è caparbia e a tutti i costi vuole la scuola aperta, trova altri fondi e si rende disponibile per offrire 700 ore di corsi e prolungare la vita della scuola e del centro. E non vi stiamo a raccontare tutti i dettagli, ma….alla fine ce la fa, fino a febbraio la Scuola di italiano e il Centro donne rimarranno in vita forse ospitati dai locali dell’istituto superiore di Cologno “E. Falck” o forse in altri spazi.
E la fata…esagera: da marzo vuole attivare non solo corsi di lingua rivolti a migranti, ma corsi rivolti a tutti i cittadini colognesi, corsi di informatica, corsi per il conseguimento del titolo di studio conclusivo del primo ciclo di istruzione, per il recupero di studenti a rischio di dispersione scolastica e molto altro. Tutto servizio pubblico, messo a disposizione dallo Stato: si chiede solo la disponibilità di una sede.
Ma l’Amministrazione comunale non risponde nemmeno a questa proposta. Quindi di fatto la rifiuta. Roba da far rimpiangere le streghe cattive della fiabe…
Fatto sta che dalla palazzina di via Milano centralissima sede della scuola si deve andare via. Immaginate di dover svuotare una Casa che avete costruito con amore e cura, in cui ogni pezzo di muro ogni oggetto ha dentro la storia delle persone che l’hanno abitata. E immaginate di sentire ancora le voci, di rivedere le facce… immaginate come vi sentireste… e così un giorno le animatrici si trovano davanti due macchine da cucire. Belle, funzionanti, usate fino a quel momento dalle donne. Ricevute in dono dal Centro di Formazione Professionale di Brugherio. Perché tra i due Centri, nel tempo, si era creata una bella relazione di reciproca stima e sostegno. E decidono che no, quelle due macchine devono continuare a vivere. E così pensano di regalarle alla Casa in Movimento.
Ora è difficile raccontare la Casa in Movimento in poche parole. Ma nelle storie bisogna avere immaginazione. Quello è un posto bello, accogliente, aperto dove tutto è assolutamente gratuito. Esiste da undici anni e forse più e lì ci sono due associazione il “Laboratorio contro la guerra infinita” e “L’associazione di cultura popolare” (provate a pronunciare questi nomi ad alta voce. Sono belli…).
Lì c’è una scuola popolare di italiano per donne migranti, lì si organizzano serate teatrali, concerti, incontri in cui si raccontano pezzi di mondo e si cerca di fare un’informazione non piegata alle logiche del potere…ma anche baratti, laboratori artistici per bambini, gruppi di acquisto solidale, botteghe di disegno, pranzi e cene solidali e partecipate…
E se si va indietro negli anni una ciclofficina, doposcuola nei quartieri a rischio, comitati genitori in difesa della scuola pubblica, scuole popolari di italiano in piazza… E da quest’anno una scuola di arabo per ragazzi di seconda generazione, gestita da un gruppo di mamme arabe meravigliose, donne forti e accoglienti, aperte all’incontro e attente alla cura delle proprie radici, in modo laico e allegro.
E così, tornando alle macchine da cucire, se ne organizza il trasporto, sono pesantissime e arrivano alla Casa insieme ad un armadio di stoffe colorate, bottoni, nastri…
Arrivano proprio durante uno degli ultimi incontri della scuola di italiano, portandosi dietro il ricordo delle mani di tutte le donne che le hanno utilizzate.
E…subito succede qualcosa: Lucia una donna brasiliana prosperosa e sempre sorridente e Ruth, salvadoregna, donna forte che nella vita ne ha viste davvero tante, vedono le macchine, si avvicinano e si mettono a cucire. Trasformandosi istantaneamente in due regine. Magia da fiaba. Regine che finalmente hanno riconquistato il trono. Sì, perché nel loro paese erano sarte, ma qui il loro passato e tutto quello che sanno fare non conta, come spesso capita a molti migranti.
Dalle loro mani come per miracolo escono piccole gonne, vestitini colorati, pezzi di stoffe che allegramente si uniscono a fare sacchetti e borse…poi da una macchina si stacca un pezzo, che cade rumorosamente a terra, la macchina vacilla ma subito, alla faccia di chi vuole le donne prive di rudimenti meccanici, viene collettivamente aggiustata e rimessa in funzione.
È nata la Sartoria in Movimento pensiamo subito tutte, perché qui è così che nascono i progetti, dai desideri delle persone, dalla voglia di costruire insieme e condividere con gli altri i pezzi del proprio mondo…
Purtroppo…occorre qui raccontare un altro pezzo di storia. Nel frattempo infatti l’amministrazione comunale aveva deciso che anche la Casa in Movimento doveva sparire. Ci convocano e…organizzano un bel teatrino: ci dicono che apprezzano molto ciò che facciamo, ma che non abbiamo i titoli per restare lì, insomma siamo abusivi, e gli abusivi in questo tipo di storia non fanno mai una bella fine, infatti ce ne dobbiamo andare. O meglio…o diventiamo “il braccio armato dell’Amministrazione” o paghiamo (salato) affitto e utenze.
Noi diciamo che prima di tutto non siamo abusivi, avendo noi ricevuto le chiavi dalla precedente Amministrazione e che non vogliamo diventare il braccio armato di nessuno ovvero, fuor di metafora (ma le parole si portano dietro mondi…) non vogliamo fornire servizi al posto di quelli pubblici, perché vuol dire farli morire e che pagare non lo riteniamo giusto ma che sì siamo disposti a farlo.
Per non annoiarvi saltiamo altri pezzi importanti (a un certo punto prendiamo anche un avvocato) e arriviamo alla fine della storia: ci arriva la definitiva ordinanza di sgombero.
Per noi pensare di lasciare quel posto è come strapparsi un pezzo di cuore, e questa non è un’esagerazione da favola. Per tutto quello che quel posto ha significato e per tutto quello che lì abbiamo costruito, per le storie e le persone che l’hanno attraversato.
Guardiamo le macchine da cucire, che molto probabilmente dovranno essere nuovamente traslocate in un altro posto. Se non fosse tragico ci sarebbe da ridere. Due macchine da cucire che non trovano pace e con loro sacchi di stoffe e bottoni.
In questi giorni noi della Casa in Movimento decideremo cosa fare. Se ti chiami Casa in Movimento hai la certezza che …saprai risorgere ovunque, magari con fatica, ma che ce la farai. Certo è che quelle macchine ce le porteremo con noi e con loro continueremo a tessere fili e a cucire insieme esistenze, per far sì che a Cologno, dove affondano le nostre radici, non ci siano re, fate cattive e sudditi, ma cittadini liberi e pensanti in tutte le lingue del mondo.
Per seguire gli sviluppi
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Vi aspettiamo venerdì 14 luglio dalle 19 in via Neruda 5, Cologno Monzese, “Io sto con la Casa…”