Il giornalista tedesco Wallraff, il giornalismo sotto copertura come stile di vita
di Christian Elia
“I call center somigliano vagamente alle miniere della prima modernità. Decine di migliaia di persone lavorano nell’ombra, invisibili, come le loro condizioni di lavoro”.
Una bella frase, come quelle che sa scrivere un osservatore acuto. Solo che Gunter Wallraff, giornalista e scrittore tedesco, è molto più di questo. Ha scritto sempre di condizioni che ha voluto vivere in prima persona.
Tutto iniziò quando si finse – per mesi – un operaio curdo, per raccontare il ventre nero del razzismo tedesco. Poi è stato un ‘senza fissa dimora’, un paziente di un centro d’igiene mentale, un profugo somalo, e mille altri volti ancora.
Lo stile e le scelte professionali di Wallraff fanno storcere il naso a molti. A volte, poi, il format rischia di essere un po’ esausto, ma di sicuro il suo lavoro e i suoi libri hanno lasciato uno spaccato indimenticabile del razzismo e del volto più crudele del libero mercato.
Oltre che avere la capacità di raccontare un volto della Germania poco noto, ancora quasi taciuto, rispetto alle ‘magnifiche sorti e progressive’ della locomotiva economica d’Europa.
In italiano, purtroppo, sono stati tradotti solo Notizie dal migliore dei mondi e Germania anni dieci, ma la produzione di Wallraff è vasta e interessante, dove Faccia da turco è a mio parere un capolavoro.
Il suo modo di condurre le inchieste, per forza di cose, ruota attorno a una visione e un racconto molto personale, al quale però non fanno mai difetto le fonti e i dati.
Il suo stile è ormai un marchio di fabbrica, tanto che dal suo nome, il dizionario dell’Accademia di Svezia ha introdotto tra le proprie voci il lemma «wallraffa» [lett. “wallraffare”] con il significato di «condurre un’inchiesta giornalistica sotto falsa identità”.
D’altronde tutto è iniziato con Gruppo 61, un collettivo di operai – scrittori tedeschi, che raccontavano la vita della fabbrica nella Germania degli anni Sessanta, lanciata verso lo sviluppo e con una voglia matta di lasciarsi alle spalle le macerie e gli orrori della Seconda guerra mondiale.
Solo che già da quel tempo, Wallraff era più interessato a raccontarne le contraddizioni e quelli che venivano lasciati indietro.
La descrizione del bunker adibito a ricovero per senza tetto, alla sensazione di claustrofobia, è da grande giornalismo, e la potete leggere in Notizie dal migliore dei mondi. Fatelo, non ve ne pentirete.