di Cora Ranci
Tra le tante stragi neofasciste che hanno insanguinato il Paese, da piazza Fontana in poi, quella del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna ha due tristi primati. Non solo si è trattato del più grave episodio di violenza avvenuto fino a quel momento in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale (85 morti e 200 feriti). Da record è anche il numero dei depistaggi, dei tentativi di deviare le indagini attraverso attività di disinformazione rivolte sia agli inquirenti che all’opinione pubblica.
Come noto, furono in particolare i servizi segreti, ai cui vertici erano uomini appartenenti alla loggia P2, ad adoperarsi per sviare i magistrati sulla cosiddetta “pista internazionale”, le cui confuse tracce portavano ad incolpare terroristi tedeschi, libici o palestinesi. Le lunghe e approfondite indagini hanno invece accertato la responsabilità dei terroristi dello spontaneismo armato dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari). Condannati come esecutori dell’attentato, Valerio Fioravanti ha scontato la pena, mentre Francesca Mambro è ancora in libertà condizionata. Condannato per strage è stato anche Luigi Ciavardini, all’epoca dei fatti minorenne.
Era il primo sabato di agosto, la stazione era più affollata del solito. Il boato dell’esplosione riecheggiò in tutta la città.
Individuati gli autori materiali della strage, restano inquietanti e in parte aperti interrogativi su coloro che hanno cercato la strada dell’impunità. È un fatto accertato l’interesse della P2 a sviare le indagini. Lo stesso Licio Gelli è stato condannato per depistaggio delle indagini, insieme all’ex agente del Sismi Francesco Pazienza e gli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte.
Tra i tanti depistaggi imputabili ai servizi segreti, ve n’è uno particolarmente significativo perché avvenuto un mese prima della strage. È il 28 giugno 1980 quando un anonimo telefona alla redazione romana del Corriere della Sera, dettando alla centralinista le seguenti parole:
Siamo i Nar. Sul volo c’era il nostro camerata Marco Affatigato. Viaggiava sotto falso nome. A Palermo doveva compiere un’azione. Lo riconoscerete perché aveva al polso un orologio Baume & Mercier.
La sera prima, un aereo DC-9 della compagnia Itavia, decollato da Bologna, direzione Palermo, era stato dato per disperso. Solamente la mattina del giorno successivo, grazie alle prime luci dell’alba, i soccorsi avevano individuato i resti dell’aereo al largo dell’isola di Ustica. Solo 39, su 81 passeggeri, le salme recuperate. Un risveglio angoscioso per il paese intero, che vede in televisione le immagini dei corpi galleggianti sull’acqua blu del Tirreno, e quelle strazianti dei parenti delle vittime a Palermo, dove attendevano l’arrivo dei loro cari. Sin da subito è chiaro che l’incidente era stato improvviso. Il pilota non aveva dato alcun segnale di allarme, le condizioni meteo erano ottimali. Forse, inizia sin da subito a chiedersi la stampa, non è stato un incidente. Collisione in volo con aereo militare? Attentato? Le ipotesi si moltiplicano, nei primi giorni accanto allo sgomento regna la confusione.
E, nella confusione, quella telefonata, il cui contenuto viene comunque rapidamente smentito. È lo stesso Affatigato a far sapere, tramite la madre, di essere vivo e di trovarsi in Francia, dove vive da qualche anno. Forse, l’episodio non sarebbe stato forse approfondito se il nome di Affatigato non fosse emerso anche subito dopo la strage della stazione di Bologna, un mese più tardi. Il 6 agosto 1980, egli viene arrestato nella sua casa di Nizza. Ben presto viene accertata la sua estraneità ai fatti di Bologna.
Affatigato, militante toscano di Ordine Nuovo (e non dei Nar), collabora da tempo coi servizi sia italiani che stranieri, in particolare francesi. Come aveva riferito l’anonimo telefonista, egli effettivamente porta al polso un orologio Baume & Mercier. Un dettaglio che porta i magistrati a pensare che l’autore della telefonata non sia un mitomane.
E dalle indagini emergerà infatti che dietro a quella telefonata c’è il Sismi, il servizio segreto militare, all’epoca diretto dal generale Santovito (P2).
I magistrati tendono ad escludere che il Sismi fosse in possesso di informazioni privilegiate sulle cause della strage di Ustica (che, come sappiamo, è stato il tragico esito di pericolose manovre militari alleate). Si trattò, con ogni probabilità, di un errore di valutazione o di un depistaggio preventivo. Un’ipotesi è che la tragedia di Ustica sia stata scambiata per il grave attentato che i Nar stavano preparando proprio a Bologna, città da cui era decollato il DC-9 Itavia. La notizia della scomparsa del DC-9 Itavia avrebbe cioè fatto scattare un depistaggio già architettato ma destinato, in realtà, all’attentato che si sarebbe verificato un mese più tardi. Un errore di valutazione?
Un’altra possibilità è che i servizi abbiano consapevolmente approfittato in modo strumentale dell’impatto suscitato dalla tragedia di Ustica per inviare un messaggio preciso. A ben vedere, la telefonata esprimeva una presa di distanza dei (sedicenti) Nar da Affatigato, che Mario Tuti aveva indicato come traditore. Il depistaggio sembra esprimere la preoccupazione dei servizi che i Nar rimanessero coinvolti nel disastro di Ustica, e la volontà di lasciargli spazio operativo per realizzare l’attentato alla stazione di Bologna.
Ma perché questo timore? Secondo alcuni studiosi dell’inchiesta giudiziaria, chiamati a studiare le carte del processo dall’Associazione parenti delle vittime della strage, occorreva neutralizzare la falla del segreto che si era verificata da parte del gruppo ordinovista veneto. Era stato Maurizio Tramonte ad avere appreso dai vertici veneti di Ordine Nuovo, nel corso del 1980, del progetto di una strage che sarebbe avvenuta a Bologna. Tramonte avrebbe trasmesso l’informazione al sacerdote di Rovigo don Mario Bisaglia, fratello del ministro dc Antonio, con l’intenzione – a detta sua – di far sventare l’attentato. Le misteriose morti dei fratelli Bisaglia potrebbero essere legate al rischio che essi rendessero pubblica nel processo la manipolazione e smascherare così la mancata attivazione delle indagini per prevenire l’attentato.
Il 5 agosto 1980, tre giorni dopo la strage di Bologna, si riunì il Ciis (Comitato Interministeriale per Informazioni e la Sicurezza), di cui facevano parte il governo, i servizi e i più alti responsabili di polizia e Carabinieri. In quell’occasione, come riportano gli appunti della riunione sequestrati dalla commissione stragi, il ministro Bisaglia prospettò la possibilità di un collegamento tra la strage di Bologna e il disastro di Ustica, mentre il direttore del Sismi, generale Santovito, aveva ipotizzato responsabilità libiche.
È difficile, forse impossibile, ricostruire in modo esatto la circolazione delle informazioni nel sottobosco dei rapporti tra uomini dei servizi, terroristi di estrema destra (più o meno inseriti nelle organizzazioni), faccendieri, politici e militari.
In ogni caso, l’episodio Affatigato prova che qualcuno all’interno del Sismi aveva informazioni su un grave attentato che avrebbe colpito il capoluogo emiliano. Il 2 agosto 1980, una valigia contenente 27 kg di esplosivo è stata fatta esplodere alla stazione di Bologna. Quella strage, di cui oggi ricorre il 37esimo anniversario, era stata annunciata. Non impedita, ma depistata. Sia prima, che dopo.
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