di Alessandra Abbona
I Rencontres de la Photographie di Arles sono un passo nel domani della fotografia: ad ogni nuova edizione ci si immerge in quello che sarà di tendenza tra qualche anno. La rassegna internazionale più ricca ed estesa dedicata all’immagine fa pulsare da 48 anni il cuore della città provenzale. Decine e decine gli artisti presenti con i loro lavori, centinaia di immagini di ogni formato, tipo e materiale, seminari, proiezioni, letture di portfolio, mercato di libri fotografici, incontri con grandi fotografi, premi per i nuovi talenti, archivi d’epoca e tesori ritrovati e poi didattica dell’immagine per i più giovani, oltre ad installazioni audiovisive sorprendenti.
Da inizio luglio a fine settembre la città delle arene romane si apre a ventaglio diventando una Mecca per gli addetti ai lavori, ma anche per i sempre più numerosi appassionati della fotografia.
Sì, perché ad Arles si impara, ci si incuriosisce, ci si avvicina all’arte fotografica anche da profani, con bambini al seguito.
Nel corso di ogni edizione diverse tematiche contraddistinguono la manifestazione ed ogni anno vengono a galla anticipazioni di stili, nuovi autori o panoramiche sulla fotografia di paesi diversi e lontani.
Il 2017 vede sotto i riflettori la fotografia latinoamericana, con un focus particolare sulla Colombia; quindi il territorio visto attraverso le città, le nuove urbanizzazioni, i luoghi abitati e quelli che non lo sono, la fotografia che mappa i paesaggi; poi i disordini del mondo, ossia le catastrofi naturali e climatiche, le lotte ambientali, i mutamenti politici; a seguire la fotografia documentaria e la sua costante mutazione; e via poi con le immagini da luoghi lontani, in questo caso l’Iran; quindi la fotografia come messa in scena, o come rilettura di movimenti artistici e culturali come il Surrealismo; o ancora le più strane collezioni di immagini (dai nani, ai giganti, ai freak di ogni epoca). Se poi si sommano i talenti presentati nei Prix Découverte, allora l’offerta espositiva diventa davvero straripante.
In questa marea di immagini c’è davvero di che stordirsi (in particolare se si sceglie di vedere i Rencontres in un solo giorno, con una tirata unica dalle 10 alle 19,30, come faccio io).
Detto questo, vi segnalo i miei 6 coup de coeur di Arles 2017.
1) “La vie dans le villes” di Michael Wolf, fotografo tedesco che vive e lavora tra Hong Kong e Parigi, e che racconta la vita in alcune metropoli tra Asia e America. I grandi formati dei grattacieli vitrei di Chicago e i dettagli delle vite, rubate dalla camera, dentro queste costruzioni spettacolari, i palazzi angolari di Hong Kong frutto di mille trasformazioni e sovrapposizioni, i ritratti delle stanzette da 3 metri per 3 e dei loro abitanti (nella megalopoli cinese così vive la gran parte della popolazione), e poi ancora la vita “compressa” a Tokyo, con i volti dei pendolari schiacciati contro i finestrini della metro.
Ma l’opera più impressionante campeggia nella grande navata gotica dell’Eglise des Frères-Prêcheurs: si tratta di “The real toy story”, una enorme installazione che assembla 20.000 giochi di plastica prodotti dalla frenetica industria cinese per soddisfare la fame dell’usa e getta del mercato mondiale.
Wolf ha reperito da grossisti e sui mercatini questa mole di materiale, e l’ha utilizzata per incorniciare i ritratti delle operaie e degli operai (spesso mutilati dai macchinari della produzione che avviene senza sicurezze e tutele) che vivono letteralmente nelle fabbriche dove lavorano. Un monito stordente per il nostro shopping compulsivo e incosciente: il costo al dettaglio di bamboline e pupazzi è per noi bassissimo, quello umano che vi sta dietro è ciclopico.
2) “Les Gorgan” di Mathieu Pernot: quasi vent’anni di ritratti dei Gorgan, una famiglia rom di Arles. Il giovane studente di fotografia Pernot ha iniziato per caso a fotografare nel 1995 alcuni componenti di questo clan nomade, entrando a far parte progressivamente del loro mondo, conquistandone fiducia e amicizia. Sulla scia della grande tradizione di reportage, le fotografie di Pernot hanno però una peculiarità: narrano dal di dentro e non documentano solo esternamente la vita dei Gorgan. I volti, le situazioni, gli attimi catturati da Pernot sono pieni di poesia, così come di ironia e vivacità. Una delle esposizioni più coinvolgenti dei Rencontres.
3) “Un monde qui se noie” del sudafricano Gideon Mendel: letteralmente “un mondo che affoga”. Mendel ritrae coppie e famiglie nelle loro case e giardini sommersi dall’acqua di inondazioni ed alluvioni. Dal Regno Unito alla Germania passando per il Brasile, la Nigeria e il Bangladesh, il pianeta Terra pare sommerso da catastrofi naturali. Come si sta allagati e con tutti i beni della propria vita parzialmente inutilizzabili, ce lo dicono le espressioni rassegnate e paradossalmente simili a ogni latitudine di chi ha perso tutto o quasi. Un video accompagna l’esposizione, mostrando sia il disastro provocato dall’acqua che il difficile lavoro del fotografo, anch’egli a mollo: difficile sia dal punto di vista logistico, sia per quanto riguarda l’approccio e la sensibilità necessaria per produrre un’opera documentaria del genere, nel rispetto del dramma di chi viene ritratto.
4) “Iran, année 38” annovera ben 66 fotografi iraniani che raccontano il loro paese a partire dall’anno 0 della Rivoluzione Islamica fino ad oggi. Le immagini non potrebbero essere più varie, diverse, contrastanti, affascinanti e costituiscono davvero una finestra su un mondo che conosciamo spesso poco e male. Nell’esposizione che si snoda nella chiesa di Sainte Anne, sulla piazza del municipio di Arles, anche qualche chicca inattesa: alcuni poetici panorami di natura in bianco e nero del regista Abbas Kiarostami.
5) “Fifty fifty” di Samuel Gratacap. Fifty-fifty è la situazione di chi sta tra la vita e la morte: i migranti che da Zuwara, una delle prime cittadine libiche dopo il confine tunisino, cercano una partenza verso l’Europa, ma anche i giovani impegnati nella guerra civile che ha dilaniato il paese. Il giovane Samuel Gratacap (un cognome che lo descrive bene!) nel 2014 è andato a cercare volti e storie nella Libia dove migliaia di migranti salpano in cerca di una salvezza in Italia. Le immagini sono accompagnate da installazioni audio, i ritratti dei migranti e dei miliziani della guerriglia ci parlano, ci interpellano. Fifty fifty, a volte la morte vince sulla vita.
6) “Toutes proportions gardées… nains, hercules et géants”, ossia la collezione Claude Ribouillault. Qui devo ammettere la mia ossessione per le fotografie d’epoca, ed in particolare per quelle collezioni curiose dedicate a fenomeni da baraccone nel vero senso della parola. Cartoline, fotografie, affiche pubblicitari che ritraggono nani, giganti, donne pelose e forzute, individui macrocefali, strani incroci probabilmente frutto di ritocchi fotografici rudimentali vecchio stile. Sono immagini che testimoniano un’epoca a cavallo tra Ottocento e Novecento, dove il fenomenale faceva spettacolo, dove certamente l’idea del diverso non era caratterizzata dalla sensibilità e dal pudore del politically correct odierno. Dove però purtroppo, il diverso era sfruttato e vilipeso rendendolo uno spettacolo per palati grossolani. Una collezione per riflettere su come siamo cambiati, forse in meglio, o forse solo superficialmente: in fondo rimaniamo ancora a bocca aperta oggi davanti ai fratelli Ugo di Vinadio, i gemelli più alti del mondo…