Viaggiare: il concetto di viaggio gemma dal viatico, cioè da ciò che occorre per il viaggio stesso. L’idea del viaggiare è quindi in origine misurata da ciò che portiamo con noi per il viaggio. In questo tempo estivo la redazione di Q Code Mag proverà a raccontarvi i suoi viaggi, non per forza spostamenti, non solo metafore, in una narrazione collettiva che ci accompagni sotto sole e temporali, fra i palazzi cittadini e gli ombrelloni marini. Buona lettura.
di Isidora Tesic
«La gente d’acqua dolce ha un’anima mite», diceva mio nonno.
Addosso gli scorre un fiume, portandosi via detriti e ruvidezze. Non spiccano violente cime, dalle loro dita, non battono colpi amari. Nulla che non sia liscio ciottolo viene da loro.
Diversa dalla gente di terra o mare. E dalla gente di monte, ancora di più. Almeno così diceva. Non saprei dirti se avesse ragione. Ma certo è che di fiumi e di persone, sapeva molto.
* Gettare il primo sguardo dall’alto: l’unica prima vista assegnata ad un fiume. Abguardarlo troppo vicino ci si imbeve di acqua, di umori. Si dimentica che è un ora e qui, immensamente diverso da tutti gli ora e qui, sparsi per tutto lo svolgersi di quel fiume.
* Discendere attentamente: sui fiumi ci si insedia. Lentamente, muovendo le terre attorno, circondando il letto, avvicinandosi cautamente agli argini: un accerchiamento. O, forse più, un addomesticamento. Purché sia su entrambe le sponde.
La domesticità di un fiume si misura gradualmente: prima, nelle seti che colma. Poi nei panni che lava. Soltanto alla fine, nei ponti che regge sulle sue sponde. Esondazioni, secchezze e furori, tutti, non sono altro che inframmezzi, nel processo di simbiosi.
* Guardare il circondario: è fondamentale, il fiume, per l’ecosistema di una città. E dei suoi abitanti. Misura con precisione quanta sete hanno le mura, i monumenti, i cortili e quanta ne hanno le anime.
Conta esattamente lo scorrere del tempo, quante acque devono passare sopra un certo sasso prima di, dopo che, nel frattempo. Quanti panni sciolti in acqua, per cancellare un’offesa, quanti per sciacquare un amore.
* Prestare ascolto alle correnti: si indovina la salute di una città e di chi ci vive, divinando il colore delle acque. Dall’azzurro al verde, è luogo depurato: un giusto equilibrio, tra canti ed amarezze.
Quando si fa colore della fanghiglia, e si mangia gli argini, e si porta via i morti e, talvolta, anche gli ancoraperpoco vivi, è allora che la città si è fatta troppo feroce, troppo famelica per quel fiume.
E la malattia di un fiume, si riverbera, sempre, sulle sue genti. Che, d’altro canto, l’uomo è formato di cellule e compartimenti idrici. Più acque, che carni.
* Osservare il naufragio di qualcosa: in un fiume si getta tutto, rami secchi, richieste di fortuna, umori e malumori, qualche morte che tarda ad arrivare e bisogna affrettarla.
E, se lo si guarda a fondo, come gli aruspici guardano il ventre delle cose viventi, se ne vede il grembo. Le forme di fondo di un fiume sono una narrazione continua, una memoria breve. Quanti naviganti vi sono passati. Quanti scheletri di barche affondate. Quante piene. Quante dighe ha costruito l’uomo. Quante volte le ha masticate l’acqua.
* Contare le acque: quanto. Alla fine tutto è numero. L’esistenza di un fiume non ha data d’inizio e, per la maggior parte delle volte, neppure di espirazione. Si regge solo sul tempo degli uomini e sulle sue misure. Sulle nascite, sulle morti, sulle carestie e le siccità, sulle piene e sulle fertilità. Sempre in funzione di qualcuno che durerà molto meno di lui.
* Distogliere lo sguardo, appuntarlo all’orizzonte, qualsiasi orizzonte sia: non bastano stagioni, per la vita di un fiume. Non sono sufficienti giorni, decenni, secoli. Le coordinate per la sua esistenza non si puntellano solo sul tempo.
Un fiume vive dei luoghi che attraversa. Tutto uno snodo sorgente-alveo-foce, un rovistare nelle terre, un affondo o un allargamento. Senza altro metro, che lo spazio tolto al dominio delle polveri.
* Prendere atto di essere su una riva. Cercare un ponte. Giungere alla sponda opposta: non si può pensare di vivere su una sola riva: una città monca, ne verrebbe. Il fiume serve da vena e specchio. Non si può pensare una città senza un riflesso d’oltre fiume. Non si può pensare ad un uomo, senza un riflesso di oltre sé.
* Essere due: per incontrarti a metà ponte. Perché il centro di un fiume, di un’acqua che scorre, sta sulla direzione che unisce due volti. O più. Che irresistibilmente si camminano incontro.
p.s.
Certi piccoli fiumi di bassa pianura