Viaggiare: il concetto di viaggio gemma dal viatico, cioè da ciò che occorre per il viaggio stesso. L’idea del viaggiare è quindi in origine misurata da ciò che portiamo con noi per il viaggio. In questo tempo estivo la redazione di Q Code Mag proverà a raccontarvi i suoi viaggi, non per forza spostamenti, non solo metafore, in una narrazione collettiva che ci accompagni sotto sole e temporali, fra i palazzi cittadini e gli ombrelloni marini. Buona lettura.
Tra Izzo e lo spazio urbano in mutazione
di Filippo Trojano
A pochi mesi dalle ultime elezioni presidenziali francesi e nel pieno della polemica sulla regolamentazione delle ONG in un’estate che vede già decine di salvataggi in mare, crescono le domande e i dubbi sul senso delle frontiere, dell’Europa di oggi e del migrare.
E così, nel modo che più mi rappresenta, cerco risposte nelle parole scritte da chi ha saputo raccontare con la forza delle immagini. L’occhio cade su Aglio menta e basilico dello scrittore Jean Claude Izzo e seguendo le trame del suo raccontare, prende forma la voglia di scoprire quel crocevia del Mediterraneo che è la sua città: Marsiglia. Non resta che fare le valigie e partire.
Ma come prepararsi al viaggio? Cosa portare con noi e a chi chiedere consiglio su dove andare se non a persone di cui ci fidiamo e che hanno conosciuto prima di noi luoghi e persone?
In questi casi il rischio di non avere un contatto reale è sempre dietro l’angolo e i percorsi che si presentano una volta arrivati sul posto sono quasi sempre quelli del semplice turista. Il pericolo, come direbbe Izzo, è quello di trovare un “mediterraneo preconfezionato che ci vendono i mercanti di viaggi e di sogni facili”.
Poche certezze e molti dubbi quindi ma di una cosa sono sicuro, la mia preziosa macchina fotografica sarà con me.
Così prima di partire mi ritrovo a domandare aiuto all’amico Daniele De Michele che con poche parole mi offre preziosi sassolini da lasciare a terra lungo la via, per seguire un filo che non mi faccia perdere.
“Il posto che amiamo di più è Les Goudes” mi dice “un piccolo paesino prima dei calanchi. Da lì costeggi il mare in una passeggiata di una grande bellezza. Poi il quartiere del Panier e il nuovo museo sul mare. Per mangiare vai alla pizzeria da Etienne, grandioso, per antipasto fa le seppiette; il dolce tipico di Marsiglia sono le Navette con l’acqua di rosa”.
A tratti le indicazioni sembrano qualcosa di enigmatico e proprio per questo mi paiono intriganti. Mi sorprende “l’artista cantastorie” pugliese quando mi dice di provare la pizza da Etienne, e penso: “la pizza io me la mangio a casa mia, figurati se devo andare fino a Marsiglia!”.
Appena arrivato mi trovo immerso in una indolente frenesia e la lingua francese che sento parlare è condita con spezie lontane.
Qui di Francia ce n’è ben poca: ad esempio di Parigi trovo forse solo qualche facciata di palazzo, ma per il resto sembra di essere a Palermo o a Napoli, a tratti ad Istanbul. Le persone che si incontrano sono algerine, tunisine o di altri paesi arabi e africani.
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Così, passo dopo passo scopro anche che quasi metà della persone che vive in questa città sul porto o meglio “città del porto”, parla la mia lingua e che molti di loro vengono dal sud Italia. Poi, con mia grande sorpresa vengo a sapere che uno dei piatti tradizionali, oltre al pesce preparato in diversi modi, è proprio la pizza e devo ammettere che il mio amico aveva ragione.
I posti che mi consiglia sono frequentati principalmente da persone del luogo e non si trovano sulle guide turistiche, quando li troviamo sembra che qualcuno ce li abbia messi a forza.
Da Etienne per esempio non è possibile nemmeno prenotare; si arriva lì e ci si mette in fila. È una semplice trattoria come ne potremmo trovare al centro di Napoli e Genova o al Pigneto a Roma. L’esatto opposto di molti locali alla moda che riempiono le città e dove si propongono le ricette degli chef stellati tanto amati dagli spettatori dei talent.
Qui ci sono persone che lavorano da più di vent’anni e il menù è quasi sempre lo stesso. Ti guardi intorno e vedi alle pareti foto di famiglia, nelle quali spesso il fondatore Etienne, oggi in pensione, è presente.
Di questo posto forse non troveremo commenti su Trip Advisor ma in un paio di foto una tavolata lascia il segno più di qualunque recensione. Anno 1974: Anthony Quinn e Michael Caine, insieme ad altri membri di una troupe cinematografica, cenano nella trattoria durante le riprese del film poliziesco Contratto Marsigliese. Seduto in mezzo agli ospiti, immancabile come sempre, Etienne.
Nel volto dei ragazzi che qui lavorano e nel loro italiano dal sapore marsigliese mi sembra di trovare il senso del mio viaggiare e così decido di cenare ogni sera in questo piccolo locale per farmi raccontare la loro storia di migranti siciliani che a metà del secolo scorso partirono per cercare fortuna in questa città “appena dietro l’angolo” del confine tra Italia e Francia.
Nel 2013 Marsiglia è stata capitale europea della cultura e da quel momento è molto cambiata. L’omologazione dei ristoranti, dei centri commerciali e dei progetti di architettura contemporanea ha fatto strada e se non si entra nei meandri dei vicoli la città sembra uguale a tante altre.
Così il giorno successivo, seguendo ancora i consigli di Daniele, vado verso il Museo del Mediterraneo con la sua affascinante passerella sospesa sull’acqua da cui si vedono gran parte della città e del mare aperto, perfetta metafora del passaggio delle genti in transito; poi ancora più lontano, lungo la costa, in cerca di pescatori e di piccoli villaggi.
Sono quasi arrivato alla fine di questo breve viaggio, ma voglio comunque dedicare qualche ora all’ultimo incisivo suggerimento: “Vai al centro culturale La Friche, non ti dico niente, posto assurdo!”.
Prendo l’autobus n.49 e dopo poche fermate scopro un luogo incredibile: un’ex fabbrica di tabacco riqualificata ormai da quasi trent’anni. Da allora è un polo culturale della periferia della città. Musica, sport, danza, laboratori teatrali, una biblioteca e soprattutto un posto dove decine di bambini ogni giorno si incontrano per giocare e conoscersi.
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Il luogo è simile al nostro Macro Testaccio di Roma, a tratti ricorda il Maam o le caserme Guido Reni con la sola differenza che quasi tutto, ad eccezione del caffè-ristorante, è gratuito.
Verrebbe voglia di restare settimane per scoprire tutto questo e quel mondo nascosto che si intuisce nelle trame di questa città, ma il poco tempo a disposizione è finito ed è giunta l’ora di ripartire.
Mentre vado verso l’aeroporto nuove domande si aggiungono alle tante presenti al momento della partenza.
Quali sono le ragioni profonde del nostro viaggiare? Quali uguaglianze da ricercare ogni volta si nascondono dietro una lingua o tradizioni diverse dalle nostre? In modo sempre più concreto la voglia di tornare in questa città è ben chiara, invece di scoprirne subito di nuove da aggiungere alla collezione del “mordi e fuggi”; questa sembra essere la sola condizione possibile per dare un senso al “viaggio”.
A conferma di questa idea mi torna in mente una piccola foto attaccata su una parete del locale dell’intraprendente siciliano, scattata pochi anni fa: Michael Caine ed Etienne di nuovo insieme; ormai entrambi anziani, posano davanti alla porta della trattoria sorridenti, con lo sguardo dritto in camera.