Un documentario racconta la cosiddetta Moschea Rossa di Islamabad e il gioco mortale tra la politica e l’integralismo islamico
di Christian Elia
Ogni singolo istante del lavoro di Hemal Trivedi e Mohammed Alì Naqvi, il documentario Among the Believers, merita attenzione.
La storia è quella della cosiddetta Moschea Rossa, la madrasa Laal Masjid, di Islamabad, in Pakistan, e del suo leader, Maulana Mohammed Abdul Aziz.
Un sistema di potere e di influenza enorme esercitato, con finanziamenti infiniti, fino al 2007 – l’anno del grande ‘assalto’ – sulle migliaia di studenti che venivano ospitati gratuitamente e sulle autorità pakistane.
Un sistema che nacque negli anni Ottanta, gli anni dell’invasione sovietica in Afghanistan, dove la ‘santa’ alleanza tra gli Stati Uniti d’America e l’Arabia Saudita ha dato il via e il sostengo a quel movimento che, con mille giravolte, ha generato l’esercito di disperati che si lancia sulle folle in Europa e che combatte tra l’Iraq e la Siria sentendosi in missione per conto di dio.
Un dio che non c’entra nulla, non con la versione più oscurantista dell’Islam, minoritaria e violenta, che ha però potuto contare su miliardi di dollari di finanziamenti. Che sono cessati quando l’Unione Sovietica si è ritirata, poco prima di collassare.
Il mostro, però, era in giro. E richiuderlo nel vaso di Pandora, ormai, impossibile.
Ecco che la Moschea Rossa, come spiega nel documentario lo stesso Maulana, diventa un punto di riferimento, diventa una centrale della formazione al terrore. Ed ecco che, in primis in Pakistan, sono le società civili a doverne pagare il conto
La situazione, dopo il 2001, con gli attentati negli Stati Uniti, cambia. Lo stesso Pakistan del generale Musharraf, all’epoca capo del governo, cerca di seguire le nuove indicazioni Usa – per non perderne l’appoggio – e la tensione contro Maulana e i suoi adepti sale alle stelle, fino al 2007, quando viene assaltata la moshchea.
Oltre 90 studenti muoiono mentre difendono l’edificio dalle forze speciali, Maulana scappa travestito da donna (da allora viene chiamato Mullah Burqa), viene arrestato, sconta due anni in carcere e poi viene messo ai domiciliari.
Solo che l’avvelenamento dei pozzi è difficile da invertire, come tendenza, e la vendetta dei movimenti integralisti contro la stretta repressiva del governo è terribile: dal 2007 al 2014 in Pakistan si contano oltre 3mila attentati, oltre 50mila morti e 1200 scuole distrutte.
Ed è proprio una scuola di Peshawar che diventa il simbolo della rabbia del popolo pakistano. A dicembre, un commando assalta una scuola, sono oltre 140 le vittime, quasi tutti bambini.
La strage è uno choc per il Pakistan, che riversa nelle strade le sue energie più belle, per dire basta a questa forma di integralismo che non è neanche lontanamente vicino al vero Islam e alla gente pakistana.
Ma sono soli, senza che chi avrebbe dovuto si sia preso le sue responsabilità.
A partire da quei governi occidentali oggi così zelanti contro il terrorismo, ma che hanno finanziato per anni gruppi in chiave anti-sovietica, i governi di paesi come il Pakistan e l’Arabia Saudita che hanno giocato per anni convinti di controllare il mostro.
Senza investire in quello sviluppo umano che sarebbe l’unica, vera alternativa.
Perché – come racconta il documentario – in Pakistan ci sono nove milioni di bambini che non hanno alcun accesso all’istruzione. Per i quali, spesso all’insaputa delle famiglie, le madrase sono l’unica chance di studiare.
Ecco, un lavoro importante Among the Believers, perché racconta la vera faccia del terrorismo, sia per le vittime, che sono per la stragrande maggioranza musulmani, racconta chi combatte l’odio, in quei paesi, e le contraddizioni che hanno generato un figlio di cui tutti fanno finta di non essere il padre.