Atlante di un mondo offeso

Oggi, 14 settembre, esce l’ultimo libro di Gianluca Costantini. Un’opera che raccoglie e restituisce frammenti fondamentali della storia recente di questo mondo. Una storia che unisce punti con linee fedeli e tratteggi marcati.

di Gabriella Ballarini

Dopo le “Le cicatrici tra i miei denti. Antologia e ritratti di poesia in lotta.” (Ada Press, 2016) Gianluca Costantini ci regala “Fedele alla linea” (Becco Giallo, 2017) un libro che appassiona il lettore dentro a quello che Luigi Spinola nell’introduzione descrive come: “un atlante dei diritti umani calpestati”.

Quello di Costantini non è un inchiostro malinconico, è tratto fedele alla linea e gioco di colore. Anche quando è solo rosso o solo nero.

Tutto avviene, pagina dopo pagina, con responsabile intenzione. La parola scritta non è mai banale o casuale, si accompagna al disegno onorandone la fonte. Il racconto si fa poetico e politico, una prosa fitta o una parola sola che infiamma le tinte luttuose, che spalanca la finestra sul buio delle storie di sangue, taciute o mal restituite da certa narrazione giornalistica. La sensazione attuale è che si voglia interrompere il flusso dell’onesta narrazione giornalistica, corrompendola di malafede e di quella pornografia dello stile, quel torbido indugiare sul dettaglio non necessario per moltiplicare la libidine morbosa del lettore.
Costantini sceglie invece (e per questo gli dobbiamo immensa gratitudine) di pigiare sul tasto lirico, come ad ascoltare una musica che parte riempiendo lo spazio di un respiro per poi travolgere l’intera costa atlantica di vento e odore di mare.

E tutto questo scompiglio nasce dalla forza dei dettagli, dei frammenti, quegli spiragli che diventano il cuore delle storie.

Le geometrie di un sguardo da Idomeni, un filo spinato a ricamo di un azzurro spietato, dall’Italia vittima delle mafie descritta dentro ad una anatomia colpevole, alla scuola di Beslan che conta i suoi morti bambini e l’inspiegabile sacrificio.
Le tavole di meravigliosa crudeltà dell’esilio raccontato sul taccuino abbandonato di Zaher:

Se un giorno in esilio la morte deciderà di prendersi il mio corpo
Chi si occuperà della mia sepoltura, chi cucirà il mio sudario?
In un luogo alto sia deposta la mia bara
Così che il vento restituisca alla mia Patria il mio profumo

Dal 2005 al 2017 seguiamo, una pagina alla volta, l’evoluzione di un giornalista dal tratto alle combinazione, dalla scelta del ritratto alla predilezione per la poesia che rimette insieme brandelli di carne e brandelli di vita per ricomporli affidando al lettore l’arduo compito di riappropriarsi della propria coscienza civile, delle parole proprie della rivoluzione umana e politica nel senso più elevato del termine.
Ci dirà Daniele Barbieri nella Postfazione che il graphic journalism spinge chi tiene in mano la matita a schierarsi, che “il vantaggio del disegno è di poter fare riferimento diretto all’universo delle immagini, fotografiche e televisive, senza rimanerne vittima” e noi avremo forse bisogno di sfogliare il libro avanti e indietro molte volte per renderci conto di quanto coraggio e spregiudicatezza ci vogliano per dare in mano al lettore un libro in cui si possa restare umani tra le lacrime e le ingiustizia.

Costantini, disegnando, non ci fa sconti, scrivendo non ci costruisce alcun tipo di scorciatoia. Ritaglia le storie e le ricuce con geografie precise, ci prende per mano il tempo necessario per spiegarci la strada.

In un’intervista al Resto del Carlino rilasciata all’inizio di settembre, l’autore sottolinea come nella vicenda di Charlie Hebdo egli cercò di descrivere anche il lato umano del male: anche questa è la linea di Costantini. E arrivando a pagina 106 non fatevi sorprendere dall’ultimo desiderio di Mazzini, ci sono dei racconti necessari per capire il Pakistan e anche Ravenna, l’Afghanistan e pure l’America di Trump dal ciuffo alle dita di una mano.
Dovrà essere una lettura lenta, dove il tratto è la nostra mappa, il tempo la bussola e lo spazio il colore dei nostri pensieri.

Da regalare, nel caso, a chi si è iscritto alla scuola superiore, come Atlante, come Dizionario storico, come via d’uscita.