Da quando nel 2016 sono stati firmati gli accordi di pace tra governo colombiano e FARC sono stati uccisi decine di attivisti di organizzazioni sociali di difesa dei diritti umani e dell’ambiente.
Di Mauro Morbello
Lo scorso mese di novembre 2016 è entrato in vigore l’accordo di pace tra le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e il governo colombiano che ha posto fine al più antico conflitto armato dell’emisfero occidentale, durato oltre 52 anni, costato almeno 220 mila morti e che ha provocato 6 milioni di rifugiati. In molti nutrivamo la speranza che con tale accordo si potesse finalmente porre fine alla violenza che da molti, troppi anni, dissanguava la Colombia.
L’anno intercorso dalla firma dell´accordo di pace non ha però evidenziato l’esito sperato.
Le morti e violenze hanno cambiato forma e in parte protagonisti, ma rimangono presenti. Le vittime designate adesso sono gli attivisti e i militanti di organizzazioni sociali, politiche e ambientaliste coinvolte nel difficile compito di rendere reale, quotidiana e diffusa la pace e la giustizia sociale nel paese uccisi, secondo quanto documenta la ONG colombiana “Somos defensores”, nella gran maggioranza dei casi da gruppi paramilitari di estrema destra.
Secondo dati ufficiali della “Defensoria del pueblo” nel 2016 sono morte almeno 125 persone legate a movimenti in difesa dei diritti umani e dell´ambiente e ben 74 sono state assassinate nei primi 8 mesi del 2017, soprattutto nelle zone rurali del paese.
Purtroppo non è la prima volta che i tentativi di raggiungere la pace in Colombia vengono stravolti da oscuri interessi che hanno convenienza a mantenere alto il livello della violenza. Un esempio emblematico è stato il cessate il fuoco bilaterale e l’apertura di uno spazio di rappresentanza politica in favore della guerriglia in base agli accordi tra governo colombiano e FARC nel 1984. Come conseguenza di tali accordi molti guerriglieri lasciarono le armi per confluire in un partito denominato “Unión Patriótica” (UP). Nel 1986 UP partecipò alle elezioni politiche arrivando ad essere il terzo partito a livello nazionale e riuscendo ad eleggere 5 senatori, 14 deputati, 23 sindaci e 351 consiglieri comunali.
A causa della preoccupazione per il successo politico ottenuto da UP, la reazione dei gruppi paramilitari di estrema destra – non meglio o più probabilmente non volutamente identificati – fu terribile e provocò un vero e proprio genocidio. Nel 1987 fu assassinato il candidato alla presidenza di UP Jaime Pardo Leal e nel 1990 il suo successore Bernardo Jaramilla. Negli stessi anni furono assassinati 8 senatori, 13 deputati, 11 sindaci, 70 consiglieri comunali e almeno 3.500 militanti di Union Patriotica.
Un vero e proprio genocidio di esseri umani e politico a vista e pazienza di tutti nella quasi completa impunità e mancanza di volontà da parte del governo colombiano di fermare le mani assassine.
Come conseguenza, migliaia di militanti di UP abbandonarono il paese per le minacce di morte e altri decisero di riprendere le armi. Le FARC aumentarono i propri militanti e si incrementò l´intensità della lotta armata. Prolungando la guerra di 30 anni e sommando altre migliaia di morti alla lunga lista dei caduti. Anche oggi gruppi paramilitari – sempre non meglio o non volutamente identificati – si accaniscono contro i movimenti sociali, politici ed ecologisti che in Colombia, dopo l’accordo di pace, agiscono in difesa del protagonismo politico dei gruppi sociali più esclusi, dei diritti umani e dell’ambiente. Come già avvenuto 30 anni fa con UP, anche oggi una delle organizzazioni più colpite è un´altro partito progressista: “Marcha Patriótica”, che raccoglie e difende le richieste dei settori contadini, storicamente i più esclusi della società colombiana.
Vittime della nuova ondata di violenza sono però anche i movimenti ambientalisti. Secondo dati della ONG Global Witness 2017, immediatamente dopo il Brasile, con 49 attivisti assassinati, il paese al mondo con più ambientalisti uccisi è stato nel 2016 proprio la Colombia, con 37 vittime che si sommano ai 26 assassinii del 2015. Le ultime due vittime registrate i primi giorni di agosto 2017 sono state proprio dei contadini, leaders di organizzazioni sociali in due regioni con forte presenza di gruppi paramilitari: Nidio Dávila, dirigente della “Asociación de Trabajadores Campesinos de Nariño” e militante del movimento politico “Marcha Patriótica”, sequestrato di fronte a casa, ucciso e gettato in un fiume; Idaly Castillo Narváez, una leader sociale della regione del Cauca, sequestrata, torturata, violentata ed infine assassinata.
Una delle cause dell’incremento della violenza nei confronti degli attivisti di organizzazioni sociali consisterebbe secondo molti analisti proprio nelle conseguenze dell’accordo di pace. Aree rurali ricche di risorse che si trovavano precedentemente sotto il controllo della guerriglia sarebbero state – o vorrebbero essere – accaparrate da gruppi paramilitari che difendono interessi economici (o criminali) per espropiarle o non riconsegnarle alle popolazioni che ne avrebbero diritto.
Popolazioni contadine, spesso indigene, che hanno dovuto abbandonare la propria terra a causa del conflitto armato.
Si tratta con frequenza di territori intatti che fanno particolarmente gola a coloro che hanno come obbiettivo di depredare le risorse naturali, senza remore rispetto al livello di violenza da utilizzare per ottenerle. Ma anche di aree che possono interessare attività illegali legate al narco traffico o allo sfruttamento minerario e – con sempre maggior frequenza – aree che grandi gruppi economici sono interessati a destinare all’agricoltura e agli allevamenti intensivi di bestiame. O altre ancora nelle quali gruppi economici locali o internazionali sono interessati a realizzare grandi opere, quali ad esempio centrali idroelettriche. Tali aree sono spesso ottenute forzando le popolazioni residenti ad emigrare o ad accettare le decisioni altrui attraverso l´intimidazione e la violenza delegata a bande criminali di paramilitari.
In questa dinamica le organizzazioni sociali e politiche che difendono il territorio sono ovviamente i nemici. Da eliminare, costi quello che costi. Con sempre maggior frequenza, anche a costo della vita.
I gruppi paramilitari in Colombia hanno una lunga storia al servizio soprattutto di terratenenti e latifondisti per difendere interessi o più spesso privilegi che tutt’oggi rendono il paese uno dei più diseguali al mondo. L’oligarchia colombiana é stata sicuramente la principale responsabile delle azioni compiute dai gruppi paramilitari che hanno terrorizzato e continuano a terrorizzare il paese. Tali gruppi hanno agito grazie alla protezione goduta ai più alti livelli del potere. Come è stato dimostrato nel caso dell’ex presidente Alvaro Urribe, il principale antagonista dell’accordo di pace con la guerriglia della FARC, seriamente sospettato di essere legato a gruppi paramilitari e il cui fratello e cugino sono detenuti con l’accusa di aver finanziato e promosso crimini commessi appunto da gruppi paramilitari.
La guerriglia in Colombia è nata per molte ragioni, la principale delle quali è stata senza dubbio l’ingiusta distribuzione della terra.
Problema ancora oggi irrisolto, considerando che secondo CEPAL la Colombia è il paese piú diseguale dell’America latina, dove il 7% dei grandi proprietari controllano il 68% dei terreni, lasciando al 93% restante appena il 32% delle superfici coltivabili. La Ong OXFAM indica che i grandi latifondisti colombiani, dediti all’agricoltura intensiva, appena l’1% delle aziende agricole nazionali, dispongono dell’81% delle terre a fronte delle 19% disponibile per il restante 99% dei piccoli agricoltori.
Sono dati incredibili che fanno però capire il livello degli interessi in gioco e la violenza con la quale alcuni settori intendono difendere, costi quello che costi, i propri privilegi. Difesa che passa soprattutto nel boicottare l’accordo di pace che prevede come primo punto proprio di trasformare in maniera strutturale la situazione della proprietá della terra in Colombia, prevedendo tra l’altro la redistribuzione di 3 milioni di ettari in favore dei piccoli contadini.
Gli attivisti e militanti delle organizzazioni sociali di difesa dei diritti umani e dell´ambiente sono in prima linea per attuare e rendere concreto quanto previsto dagli accordi.
Per questo sono i nemici principali di coloro che si arroccano nella difesa dei propri privilegi. Che non esitano a inviare sicari, quando necessario, per eliminare chi non si lascia intimidire.