Il ritrovamento di un cadavere apre una serie di procedure ufficiali che coinvolgono le autorità statali e producono una considerevole mole di dati. Accanto alla procedure ufficiali previste dalla normativa italiana e dai protocolli di intesa redatti dall’Ufficio Straordinario per le Persone Scomparse, coesistono altre pratiche per gestire i cadaveri delle vittime delle frontiere. Esiste pertanto una separazione tra procedure ufficiali e quelle ufficiose.
di Giorgia Mirto
Fotografie di Oskar Landi, www.oskarlandi.com
La discrezionalità delle autorità
Nel caso di “disastro di massa”, un incidente in cui muoiono più di 5 persone, le pratiche di gestione delle salme dovrebbero seguire le procedure previste dal manuale operativo del International Commitee for the Red Cross (CICR). Eppure, l’applicazione di queste prassi è a discrezione delle autorità pubbliche, che dovrebbero così organizzare un coordinamento generale della gestione delle vittime. Se scorriamo la Banca dati delle morti ai confini-meridionali dell’UE-ITALIA (www.borderdeaths.org) notiamo che in Italia, dal 1990 al 2013, si sono verificati ben 36 tragedie definibili “disastri di massa”, oltre ai numerosi singoli ritrovamenti di cadavere. Purtroppo, le procedure CICR sono state usate solo nel caso di due tragici eventi: il naufragio del 3 ottobre del 2013 (le cui gestione ha incluso anche le vittime del naufragio del 11 ottobre 2013) a largo dell’isola dei Conigli a Lampedusa ed il caso del barcone affondato il 18 aprile 2015. Le restanti 34 tragedie non sono state oggetto della stessa attenzione forense ne mediatica, come le altre centinaia di ritrovamenti di cadaveri in mare.
La gestione dei cadaveri delle vittime delle frontiere
Il recupero del corpo, il trasferimento, l’autopsia, la conservazione e la sepoltura o rimpatrio costituiscono le principali fasi del sistema di gestione. In realtà, queste diverse fasi sono legate le une con le altre e si sovrappongono.
Innanzi tutto è fondamentale recuperare i cadaveri. Non recuperarli significa impossibilità di identificazione. Questa fase dipende dalle condizioni meteorologiche dell’azione di soccorso e la sicurezza dell’equipaggio della nave si antepone al recupero dei corpi in mare. In questa fase è cruciale agire in fretta per via mantenere in buono stato le condizioni del corpo e per reperire gli effetti personali.
Quando un cadavere è portato con successo a bordo, è fondamentale che sia trasportato adeguatamente. La maggior parte delle navi che operano nel Mediterraneo è, tuttavia, sprovviste delle infrastrutture per conservare i corpi, come le celle frigorifere. Al porto, i cadaveri sono posti lontano dallo sguardo dei sopravvissuti o di altre persone per dare inizio ai primi esami. Una questione centrale al riguardo è la capacità di reperire e gestire alcuni dati, per i quali esiste uno specifico protocollo di raccolta, che però non è uniformemente seguito sul territorio nazionale. Le modalità di prelievo e custodia dei dati cambiano, dunque, di caso in caso.
A questo punto le procedure di gestione si biforcano in due strade che diventano parallele. La prima protende verso la registrazione del decesso e la sepoltura del cadavere, l’altra verso le analisi sul corpo, l’identificazione se possibile e le indagini giudiziarie.Entrambe queste strade sono accomunate da un assunto di fondo. Un corpo non identificato rinvenuto in luogo pubblico, che si sospetta esser vittima di un reato, ricade sotto la competenza della Procura della Repubblica circondariale e della polizia giudiziaria. È la Procura che raccoglie i dati sul deceduto e che dà inizio a entrambi queste fasi successive.
Analizzare il corpo significa nominare il medico legale per capirne le cause di morte (se non è sufficiente un esame esterno per dedurla o si sospetta un reato, viene fatta l’autopsia). Poi, i medici e la polizia scientifica raccolgono alcuni elementi dal corpo (DNA, foto, ecc). Si ascoltano i testimoni e i dati del corpo sono immagazzinati in archivi fisici e telematici.
A questo punto il procuratore emette Nulla Osta alla sepoltura, inviato, poi, assieme ad altri documenti, all’Ufficio di Stato Civile (S.C.) del Comune in cui è stata rinvenuta la salma. Si redige l’Atto di Morte, conservto gli Allegati agli Atti. Solo ora l’Ufficio redige il Nulla Osta al seppellimento, che significa un’altra serie di passaggi: il Comune indige una gara d’appalto per l’impresa di pompe funebri, la salma, con i documenti annessi, è trasportata al cimitero, sepolta ma a disposizione dell’autorità giudiziaria
Per sempre irrintracciabili
Quanto esposto dovrebbe avvenire nel mondo ideale previsto dal Codice di Procedura Penale, il DPR 396 del 2000 e il 285 del ‘90. Purtroppo la realtà è, spesso, un’altra cosa.
Infatti, la Procura può rifiutare di occuparsi delle indagini e dei doveri annessi, con la motivazione di non reputare di pertinenza penale il ritrovamento di un cadavere di un migrante. Ciò è avvenuto per esempio nel caso delle stragi del 3 e del 11 ottobre 2013. Solo l’alto interesse mediatico sul fenomeno ha fatto sì che altri attori entrassero in gioco per sopperire questa mancanza.
Altri fattori critici possono, inoltre, riguardare la conservazione dei dati prelevati dal cadavere, la tracciabilità della salma e l’effettiva registrazione del decesso. Un caso da riportare riguarda Lampedusa. Qualche anno fa, a seguito di un soccorso in mare, alcuni pescatori trasportano al porto il cadavere di un ragazzo. I compagni di viaggio conoscono il suo nome, Samuel, e lo dicono alla polizia che, tuttavia, registra la salma solo con il numero della foto che è stata scattata. Prelevano il DNA, ma non lo conservano bene ed è quindi inutilizzabile per successive analisi. La procura emette il Nulla Osta alla sepoltura, ma il decesso non è registrato nel Comune di Lampedusa e Linosa, ma in quello di Agrigento, dove il corpo si trova di passaggio per essere poi sepolto, sotto un altro nome ancora, in un cimitero di un comune limitrofo. In mancanza di qualcuno che prenda nota di questi spostamenti, la salma di Samuel sarà per sempre irrintracciabile.
Il punto cruciale delle procedure di gestione dei migranti morti in mare riguarda però la mancanza di una normativa che imponga l’identificazione della salma e che disponga come rintracciare i familiari e viceversa come loro possano entrare in contatto con le Procure italiane.
Per ogni cadavere, una famiglia
Anche se non conosce le sorti del proprio caro, la centralità delle famiglie in questo processo è duplice. Da un lato, per fare le identificazioni, i dati post-mortem devono essere incrociati con quelli ante-mortem, forniti dai famigliari, cosa che richiede un contatto con le famiglie, la raccolta e la gestione effettiva dei dati attinenti. Dall’altro, il fine ultimo dell’identificazione è proprio quello di permettere alle famiglie di iniziare le procedure di elaborazione del lutto.
Le famiglie dei migranti scomparsi devono ricevere il sostegno necessario e le informazioni per seguire il processo di raccolta dati, gestione e identificazione, e qualunque successiva esumazione e rimpatrio delle salme, in modo da metterli al centro del processo. Finora sono state completamente tagliate fuori! La legge internazionale sui diritti umani è molto chiara in questo caso e stabilisce per gli stati gli obblighi, derivanti da trattati internazionali, di identificare i deceduti e di rispettare i diritti delle famiglie dei migranti dispersi.
In mancanza di un’iniziativa di comunicazione con le famiglie, queste cercano le vie più disparate per raccogliere informazioni su dove sia finito il loro caro. Contattano le ambasciate. Sono rimbalzate tra vari uffici. Se fortunate, invece, incontrano ufficiali o mediatori culturali che si fanno carico delle loro richieste e che diventano così dei ponti tra i luoghi d’origine dei migranti e le istituzioni italiane.
Tra l’invisibilità delle famiglie e quella dei deceduti smistati tra i cimiteri del Sud Italia, la mancanza di una banca dati europea che riporti il numero delle vittime delle frontiere e i cadaveri che non vengono recuperati in mare, viene meno la possibibilità di percepire quantitativamente l’impatto delle politiche migratorie dell’UE in termini di vite umane.
Giorgia Mirto è ricercatrice e attivista. Ha partecipato ai progetti di ricerca Missing Migrants and Deaths at the EU’s Mediterranean Border e Human Cost of Border Control. A Palermo ha svolto attività di mediazione legale e culturale ai migranti.