#marisicuri

di Massimo Conte, Angelo Miotto, Christian Elia, Pietro Massarotto

Illustrazione di Enrico Natoli

Il 3 ottobre è la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione. È stata istituita con la legge 21 marzo 2016, la numero 45, voluta dal Governo Renzi.

L’articolo 1 della legge di istituzione recita: “La Repubblica riconosce  il  giorno  3  ottobre  quale  Giornata nazionale in memoria  delle  vittime  dell’immigrazione,  di  seguito denominata «Giornata nazionale», al fine di conservare e di rinnovare la memoria di quanti hanno perso la vita nel  tentativo  di  emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle  persecuzioni e alla miseria”.

Il governo Renzi è lo stesso governo che nel 2014 chiuse l’operazione di salvataggio in mare Mare Nostrum, per accodarsi al Triton, la missione di controllo delle frontiere gestita da Frontex. Uno scivolamento importante: dal salvataggio al controllo.

Alcune ricorrenze pubbliche hanno la capacità di segnare l’anno, sollecitando una comunità a ritrovarsi intorno a un sistema di valori. Il 25 aprile ha, o dovrebbe avere, questo valore: dal ricordo della Resistenza (in maiuscolo per sancirne l’importanza) la conferma dei valori della Costituzione.  Il valore civile e politico delle ricorrenze pubbliche dovrebbe stare, in buona sostanza, in questo: ricordando si rinnova l’impegno reciproco e collettivo. Un impegno che esce rinforzato dal fatto che, insieme, proviamo emozioni e condividiamo riflessioni, negoziamo intenti e disegniamo i passi futuri.

Una ricorrenza pubblica perfetta è quella che, sapientemente, mette insieme la memoria del passato, con la negoziazione dei legami del presente, nella prospettiva del cambiamento futuro. Il processo perfetto è un processo che tiene in conto la presenza del conflitto, della diversità di pensiero e di valori, dei limiti alla capacità e alla volontà di negoziazione.

Quelle che proprio non funzionano sono le ricorrenze che si sono trasformate in una comunicazione paradossale, quella per cui il contenuto è smentito dai comportamenti concreti. Immaginate di dire “A te ci tengo” a una persona di cui stiamo ignorando le richieste di aiuto e di attenzione.

Il 3 ottobre è una data simbolo.

Il 3 ottobre 2013, in un naufragio al largo delle coste di Lampedusa, persero la vita 368 persone: uomini, donne e bambini. Al loro vanno aggiunti almeno 20 dispersi. I sopravvissuti furono 155, tra questi molti bambini e ragazzi per la grande maggioranza da soli.

Quasi 400 persone a bordo di un peschereccio lungo circa 20 metri, salpato dal porto libico di Misurata il 10 ottobre 2013. La barca affondò in brevissimo tempo poco lontano dall’Isola dei Conigli, a circa mezzo miglio dalle coste di Lampedusa, per un incendio scoppiato a bordo.

Una settimana dopo, un’altra strage con almeno 268 persone annegate, siriani in fuga da Aleppo, molti di loro bambini. Per questa tragedia, un’inchiesta dell’Espresso ha svelato il rimpallarsi di responsabilità tra Italia e Malta riguardo al soccorso in mare. Soprattutto, ha svelato il comportamento della nave Libra, un pattugliatore italiano che non rispose alle richieste di soccorso inviate via radio sul canale di emergenza dall’aereo militare maltese che aveva individuato il barcone. La Libra si trovava a meno di un’ora di navigazione dalle persone che chiedevano disperatamente aiuto, mentre la loro imbarcazione stava lentamente affondando.

Prima e dopo il 3 ottobre uomini, donne e bambini hanno continuato a morire o a sparire: 3.538 nel 2014, 3.771 nel 2015, 5.096 nel 2016, più di 2.500 fino a settembre 2017. (fonte Unhcr)

Ecco, il problema della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione è che è una giornata paradossale. Non nelle sue premesse e nella volontà delle tante realtà che hanno voluto che lo scandalo delle morti in mare non venisse messo a tacere. Lo è negli esiti istituzionali.

Quest’anno il 3 ottobre il Governo della Repubblica terrà la Giornata nazionale dopo: la revisione dei procedimenti connessi alle richiesta d’asilo; l’attacco alle Ong impegnate nelle missioni nel Mediterraneo; il sostegno politico e finanziario alle milizie libiche; la vendita di armi all’Arabia Saudita.

Questo è un elenco di elementi concreti, che mostrano nei fatti come la celebrazione del 3 ottobre si è ammalata di retorica. A questi elementi, visibili, vanno aggiunti quelli invisibili, che per certi versi sono anche peggio. Gli accordi con la Turchia e altri paesi, che hanno come unica finalità quella di ‘esternalizzare’ la gestione del blocco ai popoli in cammino, puntano anche a rendere invisibile il prodotto dei processi di criminalizzazione dei migranti. Impedire la vista, per far tacere il dissenso e la coscienza.

Ecco, quest’anno, da qualche parte, faranno i loro discorsi ufficiali il Presidente del Consiglio Gentiloni, il Ministro Minniti, il Ministro Orlando, la Ministra Pinotti.

Proviamo a invertire una pratica paradossale, riportando il conflitto nella celebrazione perché è necessario.

Le persone di cui ricordiamo le morti non sono morte per cause naturali. Sono morte perché stritolate da processi più grandi delle loro fragili vite e dei loro sogni privati. Sono morte, anche, perché il nostro Stato, i nostri Governi, l’Europa di cui facciamo parte, hanno contribuito a imporre un modello di sviluppo basato sul furto delle risorse, hanno alimentato classi politiche corrotte, hanno contribuito al disastro libico, hanno finanziato e armato gli Stati canaglia e i finanziatori dell’integralismo, hanno costruito barriere al movimento delle persone, hanno contratto le possibilità di esercitare il diritto d’asilo.

Sulle persone in viaggio, l’Europa e l’Italia hanno giocato una partita sporca che può essere sintetizzata in questo modo: la drammatizzazione del viaggio e dei suoi esiti mortali è stata funzionale a politiche paradossali. A politiche che, dietro la mobilitazione emotiva prodotta, sono state e sono funzionali a costruire la fortezza Europa.

Dopo il 3 ottobre 2013 c’è stata la mobilitazione di tante e tanti dopo la morte di Alan Kurdi nel 2015. Un’ondata emotiva che ha avuto come risultato le politiche di esternalizzazione delle frontiere, con l’affidamento alla Turchia del ruolo di gendarme per conto dei nostri Paesi, e le politiche miranti a rafforzare la separazione tra i presunti migranti economici e i presunti richiedenti asilo. La spinta per l’accoglienza di tante e tanti ha avuto come risposta politiche fatte di chiusura, di allontanamento, di separazione.

I tanti piccoli Alan Kurdi hanno smesso di essere magliette rosse cullate dalle onde, e sono tornati a essere numeri. Non scuotono più l’immaginario collettivo, anche perché sono tornate a essere una massa indistinta che le politiche gestiscono come oggetti indesiderati, come soggetti da controllare perché generano sospetto.

Il nostro mare è in tempesta. Attraversato da ondate populiste e reazionarie, disumane nelle premesse e negli esiti, i cui impresari non sono solo le forze di destra, ma anche governi e ruoli istituzionali che, paradossalmente, si dichiarano come l’argine al populismo.

Allora, questo 3 ottobre proviamo a fare un movimento diverso. Restituiamo umanità alle vittime delle politiche, dentro un discorso conflittuale e non paradossale.

Contro la drammatizzazione e la manipolazione delle emozioni, rese funzionali a politiche di morte, riprendiamo a immedesimarci nelle storie e nei sogni delle persone che provano a inseguire una vita serena, felice, realizzata.

Una cosa la sappiamo. Il nostro mare per essere un mare sicuro deve essere privo di frontiere. Un mare in cui incontriamo altre donne e altri uomini, pronti a riconoscere in loro i nostri futuri compagni di viaggio.

Di fronte a delle istituzioni che non tollerano la solidarietà, che l’accettano solo se embedded come l’informazione, torniamo a rivendicare le braccia aperte in segno di accoglienza. Perché restiamo responsabili della sorte di altri uomini e di altre donne.

I tempi sono così bui oggi che anche gli abbracci sono gesti conflittuali.

 

 

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