testo e foto di Marco Besana e Ilaria Brusadelli
Le cicatrici del bombardamento NATO di nemmeno vent’anni fa non sono ormai quasi più visibili, a Belgrado. Resta lo scheletro della sede della televisione di Stato, a memoria delle 16 persone che vi morirono nell’attacco aereo del 23 aprile ‘99. Il Generalštab, edificio che fu sede del ministero della Difesa e quartier generale dell’esercito le cui ali, come un sipario sul passato, incorniciano Nemanjina ulica, è da anni al centro di una discussione su una sua possibile ricostruzione; i segni delle schegge delle esplosioni a pochi passi da Piazza della Repubblica si confondono fra colori che sembrano dare nuova vita a una città fino a pochi anni fa protagonista di pagine drammatiche; pagine che non hanno impedito a un’intera generazione di rialzarsi.
I bar curati del centro, Skadarlija e la sua atmosfera bohémienne, la più grande chiesa ortodossa al mondo – consacrata nel 2000 – che domina la città, sono solo alcuni tra i simboli di una nuova rinascita.
I più interessanti vanno cercati sui palazzi dei quartieri meno turistici, sui muri del brutalismo architettonico socialista, sotto i ponti della ferrovia. La “città bianca” si colora con i graffiti sui muri dei quartieri lungo la Sava, opere che hanno consacrato Belgrado come una delle capitali europee della street art.
Dragana Barjaktarević, street artist e giornalista serba, racconta e ci racconta la scena artistica della città: «Faccio la giocoliera con le parole e i colori, cioè scrivo e dipingo. La street art è il punto in cui si incontrano le due passioni. Quattro anni fa ho aperto un blog dedicato alla street arte alla fine mi sono trovata con lo spray nelle mani anch’io».
È Dragana a spiegarci il legame tra la guerra e la street art: «Con la liberazione di Belgrado dopo la Seconda guerra mondiale i militari russi segnavano le case dove non c’erano le mine con la scritta “provereno – min njet” (controllato – mina non c’è).
Queste scritte possono essere considerate i primi graffiti di Belgrado, scritte che hanno contribuito a salvare molte vite».
Il legame tra guerra e street art segna, però, proprio la pagina del bombardamento del ’99 che, come spiega Dragana, «ha paradossalmente avuto un effetto positivo sulla street art. I giovani writers, non andando a scuola in quei mesi, avevano più tempo libero per fare i graffiti. La scena belgradese è nata dieci anni prima del bombardamento, però in quel periodo diventa più forte. Sono nati i graffiti leggendari, la base per tutto quello che segue. La tematica non c’entrava niente con la guerra però. La street art era il sollievo per quei ragazzi. La creatività era la loro pace».
Oggi il quartiere da non perdere per scoprire la street art della città è Savamala, sobborgo un tempo periferico e poco frequentato e oggi nucleo del design e delle più interessanti realtà artistiche.
Uno dei primi murales che hanno dato il via alla rigenerazione urbana del quartiere è Waiting for the sun (riproduzione dell’omonima stampa di Aleksandar Maćašev al numero 53 di Karađorđeva Street) in cui una donna, con un grande sole alle spalle, sembra guardare lontano con i suoi occhi, uno rivolto al cielo e uno la finestra dell’edificio.
Nello stesso quartiere, da un tetto spunta una gigantesca balena a quattro zampe su cui un curioso ingranaggio-rullo ha lasciato una striscia di colore. È Imitation of Life # 9 del duo artistico Nevercrew.
Tra i muri di Belgrado c’è anche una famosa firma italiana: siamo in Lukina Street (n°6) dove lo street artist Blu, nell’ambito del progetto Super Wall del festival Belef 2009 ha realizzato una gigante bocca-metropoli con denti-grattacielo in bianco e nero che stanno per divorare l’unico elemento colorato: un albero.
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«Un altro quartiere importantissimo per la street art di Belgrado è Dorćol – continua Dragana – dove sono stati fatti tre bellissimi murales durante il festival internazionale Meeting of Styles. Infine, il quartiere di Zemun, dove si trova il mio murales preferito e, forse, quello più grande di Belgrado (50m²). Si chiama “La foresta magica” e l’hanno fatto dodici artisti assieme, sia locali sia internazionali. In tutta la Serbia ci sono ormai numerosissimi festival di street art, e non solo a Belgrado, come Revitalizacija ad Užice, DUK a Čačak, Chain Reaction a Novi Sad.
A Belgrado ultimamente il collettivo Street Smart organizza molti festival ed eventi legati alla street art, ma non sono i soli artisti attivi in città.
Faccio i nomi di Artez, ormai famosissimo in tutto il mondo; Hope e Junk, i pionieri della scena locale; i giovani, ma molto bravi Piros e Wuper e TKV, la prima ragazza nella nostra scena. Belgrado è piena di murales molto interessanti in ogni angolo della città…. Basta solo aprire gli occhi!».
E così si scopre una donna dell’Ottocento e il suo negativo, o mongolfiere che volano oltre a un arco nella centralissima via Terazije, o Joe Strummer potrebbe avvisarti che il futuro non è scritto in una traversa di via Dobračina.
La street art ha potuto affermarsi anche grazie ai belgradesi: «la licenza per dipingere un muro privato è data direttamente dagli abitanti di quel palazzo. Ci sono anche sempre più locali, centri culturali, negozi che chiamano gli street artists ad abbellire l’ambiente» prosegue Dragana. «E da quando la street art ha assunto una forma anche commerciale, i cittadini accettano più volentieri le opere, purché si tratti di arte di qualità, anche sui muri non legalizzati».
Ed oltre ad essere accolta dai cittadini, la street art è anche un’opportunità preziosa per il turismo della capitale serba.
In città sono infatti molti gli “street art tour” e gli “street art workshop”, come Alternative Belgrade Guide, Street Up, Street Art Walks che offrono uno sguardo alternativo sulla città. Se esiste un modo per reagire al nero della guerra e della mancanza di libertà, Belgrado sembra quindi averlo trovato nei colori. Colori che in molte città d’Europa vengono ancora confinati nell’illegalità e nel vandalismo, ma che sono invece il simbolo concreto di come la creatività possa divenire il motore del futuro. Anche, e soprattutto, fuori dai canali tradizionali e rassicuranti dell’arte mainstream.