Dino Buzzati, una selezione dei suoi articoli, un mondo intero
di Christian Elia
Dino Buzzati muore a Milano il 28 gennaio 1972. Con lui scomparivano il giornalista, lo scrittore, l’intellettuale. Domenico Porzio, amico e critico letterario, sull’onda dell’assenza, raccolse oltre cento tra articoli e reportage di Buzzati.
Nasce così, nel 1972, Cronache terrestri. A 45 anni dalla morte di Buzzati non sapremo mai se avrebbe condiviso le scelte di Porzio, che si mosse nel confine sottile tra il lettore e il critico, ma questo resta un documento importante di come esiste una scrittura senza etichette rigide.
Si spazia dalla cronaca nera alla società, dalla fantasia alla dura realtà, da Milano al mondo.
Il bombardamento di Napoli durante la Seconda Guerra mondiale, la tragedia del Vajont, la conquista dell’Everest e la metropolitana di Milano: il talento e lo sguardo di Buzzati non accettavano orizzonti.
A volte, come nelle cronache militari, ci si perde in una retorica d’altri tempi, a volte ci si innamora dello sguardo curioso (come per i reportage dal Giappone), altre ci si specchia nella natura italiana e italiota, tra la profezia e la denuncia.
In un universo di parole e di sguardi, emergono l’umanità del racconto, mai complice, ma senza volontà di giudizio, solo di cronaca. La visione, quella c’è, affidata all’arte del narratore a tratti quasi di fantascienza.
In un mondo del giornalismo che è ormai senza bussola, colpisce il talento poliedrico di un vero maestro, mai autoreferenziale, sempre geniale
E come tutti i grandi, estremamente attuale. Provate a leggere l’articolo sulla strage di Milano, quando una guardia giurata notturna, emigrato nella grande Milano dal Sud, stermina la famiglia. Buzzati, di notte, gira la città in bicicletta, raccontando la disillusone che avrà vissuto l’omicida, reietto nel contesto del suo progetto migratorio. Come non pensare ai migranti di oggi?
E ancora, leggete la cronaca del disastro del Vajont.
“Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi”.
La potenza della semplicità, il talento al servizio del lettore, perché puoi scrivere bene quanto vuoi, ma se non riesci a spiegare e a informare, stai barando.
Un libro da leggere, un grande da ricordare e studiare. Non per provare a imitarne il talento e la genialità (come nella trovata dei fantasmi che fanno visita di notte al nazista imprigionato), ma per cogliere la potenza del racconto di realtà.
E del servizio che il talento deve rendere al lettore, altrimenti non è giornalismo.