Gauri Lankesh, freddata da estremisti, in un paese sempre più costretto a confrontarsi con se stesso
di Maria Tavernini
Con l’omicidio di Gauri Lankesh è ormai chiaro che gli ultrainduisti non hanno paura di silenziare oppositori e liberi pensatori che non hanno voluto piegarsi alla visione monolitica con cui il partito al governo sta ridipingendo il paese, che rischia di alienare le molte minoranze del paese.
Lo scorso maggio un rapporto di Reporters Sans Frontières ha classificato l’India 136esima su 180 paesi nella lista sulla libertà di stampa: una perdita di tre posizioni rispetto all’anno precedente.
Nello stesso mese, l’organizzazione indiana di monitoraggio stampa The Hoot, ha pubblicato un rapporto in cui rileva un “ridimensionamento del senso generale di libertà nel paese a causa delle restrizioni sul diritto dei cittadini all’informazione, sull’accesso a internet, la libertà di espressione e di opinione, anche online”.
Nei 16 mesi presi in analisi, il rapporto cita 42 sospensioni dei servizi internet (soprattutto in Kashmir e Chhattisgarh), 45 casi di denunce per sedizione, 56 casi di attacchi e 25 di minacce ai danni della stampa.
Sono invece sette i giornalisti morti per il lavoro che svolgevano, con un elevato tasso di impunità. Ma le cifre potrebbero essere solo la punta dell’iceberg. In questo clima, conclude il rapporto, la stampa non può essere davvero libera.
Essere un razionalista – termine con cui in India è definito chi si oppone alle superstizioni e all’ingerenza di credenze religiose nella politica – è oggi più pericoloso da quando il premier Narendra Modi guida il paese sotto la bandiera del BJP, il Bharatiya Janata Party, il partito popolare espressione di quell’ultradestra induista che dal 2014 sta polarizzando il dibattito politico attraverso la demonizzazione e la progressiva alienazione delle minoranze non-induiste, in primis la comunità musulmana, che costituisce il 14,2 per cento della popolazione, ovvero 172 milioni di persone.
Se nel primo anno ha prevalso l’agenda dello sviluppo sfrenato millantato in campagna elettorale, negli ultimi due anni il governo sembra essersi concentrato soprattutto sulla violenta e sistematica repressione del dissenso, in qualsiasi sua forma.
Liberi pensatori, giornalisti, ma anche dalit (i fuoricasta, gli ex-intoccabili del sistema castale indiano), musulmani e tutti gli oppositori dell’Hindutva – la dottrina che mira a fare dell’India una nazione induista – sono nel mirino di invasati inturbantati di drappi zafferano, il colore del BJP.
Soffiando sul fuoco dei diritti delle tante minoranze del paese, il primo ministro è responsabile di non aver mosso un dito per evitare che le frange estreme dell’ultradestra indù imponessero un’agenda sempre più aderente all’ideologia unica dell’Hindutva.
E quando squadroni della morte e folle inferocite linciavano musulmani accusati di mangiare carne, in un’isteria collettiva che ha avuto come epicentro il manzo, il premier ha liquidato gli incidenti come episodi isolati.
Episodi che crescono d’intensità e frequenza, e assumono la forma di crociate contro chiunque esprima dissenso verso l’ideologia dominante, prontamente bollato come “anti-nazionale”.
Modi sembra non riuscire (o non voler) più contrastare le forze che stanno promuovendo un’agenda sempre più religiosa, dettata dalla spina dorsale ideologica del BJP, l’organizzazione paramilitare volontaria Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss).
La lista nera di giornalisti, attivisti e intellettuali anti-BJP è andata pian piano ampliandosi, includendo personaggi di spicco nel panorama culturale del subcontinente. Ultima vittima dell’odio diffuso che si respira nel paese è stata la nota giornalista Gauri Lankesh, uccisa lo scorso 5 settembre con tre colpi di arma da fuoco sulla porta di casa a Bangalore, nello stato meridionale del Karnataka.
Era tra le penne più impietose a combattere l’estremismo ultrainduista. Dirigeva un piccolo giornale locale che portava il suo nome – fondato dal padre, famoso poeta, giornalista e intellettuale kannada – schierato contro il potere, il patriarcato braminico, l’estremismo e le ingiustizie di casta e di genere.
La sua era un’invettiva tagliente, spesso ironica e senza mezzi termini che ha attirato l’ira dei bhakts.
Lankesh aveva ricevuto parecchie minacce di morte, era stata in passato accusata di diffamazione e incarcerata (poi rilasciata su cauzione in appello), ma non ha mai smesso di attaccare i potenti e i corrotti. Era per questo considerata una delle voci libere, espressione di quell’India che si oppone all’induizzazione della società e della politica in nome di un’identità multiculturale che includa le tante minoranze del paese.
“Chiunque osi criticare l’RSS o il BJP viene attaccato o addirittura ucciso”, ha twittato il leader dell’opposizione Rahul Gandhi, erede della dinastia politica che ha dominato la politica indiana dalla nascita dello stato, “vogliono imporre un’unica ideologia che è antitetica alla natura del paese”, accusando il governo di non aver saputo proteggere la vita della Lankesh.
Almeno 15mila persone hanno preso parte al funerale di stato della giornalista a Bangalore. E mentre nelle maggiori città studenti, attivisti e gente comune è uscita in strada per protestare contro l’assassinio di un altro intellettuale che ha fatto sentire la sua voce, i bhakts dell’ultradestra induista esultavano per la sua morte.
Purtroppo Gauri Lankesh non è la prima, e si teme non sarà neanche l’ultima giornalista silenziata dai proiettili di centauri senza identità.
Maggio 2016, Ranjan Rajdeo, giornalista del quotidiano Hindustan nella versione hindi e direttore di un giornale locale in Bihar, viene ucciso per le sue inchieste.
Giugno 2015, Jagendra Singh, giornalista freelance, morto per le ferite riportate dopo che la polizia ha fatto irruzione in casa sua dandogli fuoco, nello stato di Uttar Pradesh. Settembre 2015, MM Kalburgi, noto razionalista e accademico progressista viene freddato in Karnataka, in maniera simile alla Lankesh. L’omicidio ha enormemente scosso il mondo letterario kannada.
E ancora, febbraio 2014, sconosciuti a Mumbai sparano a Goving Pansare, noto attivista e razionalista.
Agosto 2013, Narendra Dabholkar, un razionalista che per anni si è battuto contro superstizioni e credenze antiscientifiche, viene assassinato a Pune da due motociclisti mai identificati.
Dicembre 2013, Sai Reddy, del giornale hindi Deshbandhu, viene accoltellato in un villaggio nello stato di Chhattisgarh.
Pochi giorni dopo l’omicidio di Gauri Lankesh, la polizia ha aperto un’inchiesta dopo che la giornalista Sagarika Ghose, ha denunciato di aver trovato online una lista di persone “da eliminare”, dove compariva il suo nome insieme con altre donne di spicco schierate contro il governo, tra cui la scrittrice Arundhati Roy, l’autrice Shobha De e le attiviste Kavitha Krishnan e Shehla Rashid, considerate delle anti-nazionali camuffate. Tempi duri per l’India secolare e pluralista.