Intervista di Angelo Miotto a Francesca Garolla, a teatro
di Francesca Garolla
regia di Renzo Martinelli
con Liliana Benini, Maria Caggianelli, Francesca Garolla, Viola Graziosi, Alberto Malanchino, Alberto Onofrietti
assistente alla regia Riccardo Motta
suono Giuseppe Ielasi
luci Mattia De Pace
costumi Laura Claus
direzione tecnica Paolo Casati
Tu es libre è una produzione del Teatro I. Francesca Garolla, tu che l’hai scritto raccontaci l’azione in meno di dieci righe
Haner due anni fa è partita per la Siria. Si è unita a Daesh e, così, ha aderito ad un sistema sociale, culturale, etico del tutto differente da quello a cui noi apparteniamo. Ma Haner non ha origini mediorientali, non è un’immigrata, non è un’emarginata, non è stata manipolata e non è pazza. Haner è una giovane donna francese che può fare, ed essere, tutto ciò che vuole. Haner è libera di scegliere e mette in atto la propria libertà. Una libertà feroce che non si fa controllare, definire o interpretare. In sette giorni, la madre, il padre, un innamorato e un’amica di Haner tentano di dare un senso alla sua storia e, attraverso di loro, l’autrice, anch’essa in scena, cerca una possibile definizione all’improbabile e oscena, libertà di Haner. Possiamo capire una libertà per cui la vita non è necessariamente un valore? Una libertà per cui l’individuo non è bene prezioso da difendere, ma solo funzione o frammento di una comunità? Una libertà che uccide?Tu es libre significa: tu sei libero. Ma se siamo devvero liberi dovremmo poter accettare la libertà dell’altro.
Tu es libre, una domanda che gioca con lo spettatore, con l’autrice e la sua protagonista: una delle domande più contemporanee nel quadro del tutto si può sapere?
Più che una domanda è un’affermazione. Noi siamo liberi. Oppure, meglio, noi crediamo di essere liberi. Ma il concetto di libertà non presuppone in sé un giudizio sull’esito di quello che comporta una nostra scelta libera. Crediamo che la libertà sia un bene, ma in effetti la libertà è qualcosa che comprende tutto: bene e male, morte e vita. Quindi l’unica domanda è: possiamo accettare che sia una scelta libera qualcosa che compromette il nostro sistema di valori? Possiamo accettare che non vi sia motivo, giustificazione, ragione, a qualcosa che non comprendiamo? Il contesto in cui ambiento il testo mi serve per questo: per mettere alle strette la nostra idea di libertà. E questo mi pare contemporaneo, sì, mi pare qualcosa che può metterci a confronto con la nostra paura. La libertà è paurosa, quando non ha limiti.
Che tipo di reazioni hai incontrato rispetto alla tematica e alle domande che poni?
Alcune persone si fermano al contesto: il terrorismo, la Jihad, la morte fanno paura. Hanno bisogno, ed io li capisco, di una definizione. I cattivi sono cattivi e i buoni sono buoni. Se un “buono” diventa “cattivo” deve esserci una ragione. Non so se questa visione sia una difesa, ma è quello che accade, e allora il mio testo può risultare urticante. Ma come, mi chiedono, quindi tu dici che uccidere è una libera scelta? Io dico che scegliere di uccidere non è un comportamento che accetto, ovviamente, ma può essere frutto di una scelta libera, sì. E’ spaventoso, ma reale. Altri, semplicemente, si confrontano con se stessi e con la loro paura. Con un vuoto di motivazioni e giustificazioni che ci accompagna ogni giorno. E ascoltano. Guardano. Io sono felice di tutte le reazioni. Perché sono il segno, comunque, che qualcosa di quello che ho detto ci riguarda, tutti, oggi.
Cosa manca alla nostra capacità di sentire?
Non lo so. Forse manca un po’ di amore per la nostra paura. Noi temiamo di essere possibili vittime e tendiamo a non pensarci come possibili carnefici. Eppure lo siamo. Se domani scoppiasse una guerra saremmo tutti dei potenziali assassini, anche se facciamo finta di non poterlo essere. Credo che questo sia all’origine della nostra angoscia: un qualsiasi furgoncino potrebbe investirci domani, ma al contempo noi potremmo scoprire che alla guida di quel van c’era un nostro amico, un nostro conoscente, il ragazzo a cui per tante settimane abbiamo dato qualche moneta fuori dal bar, noi stessi. Tutto è molto vicino. Per questo dico che dovremmo volere bene alla nostra paura, contemplare la possibilità della morte, del male, del nulla. Forse questo ci manca. I confini non sono solo linee sulle mappe, sono muri nella nostra testa. Noi crediamo di stare dalla parte giusta, ma se accettassimo un po’ di più la nostra paura forse inizieremmo a pensare di stare solo da una parte qualsiasi, che non è giusta e non è sbagliata, è solo la nostra. Oggi siamo vittime, domani carnefici.
Che reazioni fra il pubblico?
Il pubblico c’è. Ascolta. Applaude. Il pubblico sta dalla parte di Haner.
Il pubblico si indigna, perché non vuole stare dalla parte di Haner.
Il pubblico mi chiede se io penso che sia giusto uccidere. Il pubblico reagisce. Questo è tutto.
E sente che questo è un testo politico perché parla di qualcosa che li riguarda. Che ci riguarda.
Qui tutte le informazioni per lo spettacolo: http://teatroi.org/portfolio/tueslibre-2017/