Cronache dal Portogallo, che migliora le sue cifre macroeconomiche, ma continua a lottare per risolvere i suoi conflitti socio-economici
di Marcello Sacco
Con una presenza fin troppo discreta sulla stampa italiana, quasi colpevolmente ignorante di politica interna portoghese, la soluzione governativa trovata a Lisbona nel 2015 – governo minoritario del Partito socialista con sostegno esterno delle sinistre in parlamento – ha conquistato lentamente anche l’attenzione degli osservatori italiani.
Forse proprio adesso che comincia a piacer meno ai portoghesi. Non pare ci sia nessun tramonto all’orizzonte per quel che l’opposizione di destra prima e tutta l’opinione pubblica poi ha ribattezzato geringonça, vale a dire “pastrocchio”. Anzi, tanto la sfera di cristallo dei sondaggi come i dati delle recenti amministrative confermano il favore di buona parte dell’elettorato nei confronti dei partiti che hanno tirato il Portogallo fuori dal budello più buio della crisi.
Forse, dopo le imponenti manifestazioni dell’autunno 2012 e la rassegnazione degli anni seguenti, fatta di emigrazione massiccia, stiamo solo tornando alla solita noiosa dialettica democratica, fatta di dibattiti, negoziati e scioperi settoriali.
Negli ultimi tempi hanno scioperato un po’ tutti: dagli operai della Volkswagen, in piena fase di trattativa sui nuovi turni della catena di montaggio, agli operatori di call center, fino a quelli del sistema sanitario pubblico, le cui motivazioni sono un’efficace sintesi dei problemi cronici del Portogallo: ritmi di lavoro duri nei servizi d’urgenza in cambio di salari non eccelsi, gravi carenze nella rete dei medici di base e delicatissime questioni di territorialità in un Paese il cui entroterra si svuota sempre più in fretta.
Infine è toccato ai professori, dove a muoversi contro il quasi decennale blocco degli stipendi sono stati i sindacati di categoria, più slegati da certe logiche di opportunità politica, trascinando poi con sé le centrali sindacali.
Ciò ovviamente ha fatto sì che si svegliassero anche gli altri settori della macchina burocratica, con l’accusa al governo di riservare un trattamento preferenziale alla scuola, mentre il resto del Paese lo accusa di avere troppe simpatie per gli statali in blocco, con ricadute sul debito pubblico che prima o poi farà tornare la tempesta da tempo annunciata.
Questa è diventata una dinamica piuttosto comune nella politica portoghese dell’ultimo biennio. Il governo, che ha appena consegnato al presidente della Repubblica la Finanziaria 2018, continua il graduale smantellamento delle misure varate negli anni più difficili della crisi (aumentano salari e pensioni e aumentano gli scaglioni Irpef, per un fisco più equo), ma a ogni picconata sulla vecchia politica si smuovono i timori e la sfiducia di quanti sospettano che la ventata positiva di cambiamento abbia respiro breve e temono di restarne tagliati fuori.
Molto interessante, a questo proposito, sono i movimenti a margine di una delle misure più importanti tra quelle volute dalla coppia Costa/Centeno (rispettivamente primo ministro e ministro delle Finanze, quest’ultimo candidato forte a prendere il posto di Dijsselbloem alla guida dell’Eurogruppo): l’assunzione a tempo indeterminato di migliaia di precari nella Pubblica Amministrazione.
Tra questi ci sono molti docenti, ma anche tutto l’universo dei ricercatori, che tenta di saltare dall’altalena degli assegni di ricerca a scadenza regolare e rinnovo capriccioso. Il mondo accademico sarebbe pronto ad assorbirli, se non avesse da regolarizzare a sua volta intere schiere di professori a contratto. Senza contare che l’università di massa ha sempre più bisogno di docenti e pare meno interessata ad accogliere ricercatori puri.
Così questi si ritrovano ridotti ad aristocrazia intellettuale squattrinata: coordinano magari grandi progetti internazionali finanziati da istituzioni prestigiose, girano il mondo tra riunioni e congressi, trovano ovunque rispetto, riconoscimento professionale e i piccoli lussi dell’intellettuale in trasferta pagata. A casa però li aspettano le bollette scadute e le intimazioni di chi non vuol saperne dei ritardi della borsa di studio.
Sono forse l’epitome migliore di questo Portogallo riammesso in serie A, ma in bassa classifica; il Portogallo che riduce il deficit in tempi record, ma non ha i soldi per fronteggiare gli incendi (quest’anno oltre cento morti, tanti feriti e devastazione in due sole giornate di calore eccezionale, tra fine primavera e inizio autunno). Un Portogallo, insomma, che ogni tanto si riscopre fermo alla casella di partenza anche quando le macrocifre lo danno a gonfie vele.