Un viaggio in tre puntate. Tre nomi. Tre corpi. Tre punti cardinali. Tre deviazioni.
Di Gabriella Ballarini
Riberalta, interno giorno.
C’è il paro in questo giorni qui in Bolivia. Uno sciopero.
Lo sciopero funziona che si bloccano tutte le strade principali con dei blocchi di gente e oggetti trovati in giro. Ci si mette lì con i cartelli e si urla e si dice: “Di qui non si passa”.
Ma chi è che non passa quando c’è il paro?
Non passa la gente che deve andare al lavoro e quella che va a scuola. E insomma non è passata la professoressa che doveva venire al corso questo pomeriggio e non è passato nemmeno Alex, anzi è passato a piedi ed è arrivato fino in classe.
È entrato dalla porta Alex, tremante di freddo. Stanco con le occhiaie viola e tutte quelle lentiggini a ridisegnare il suo viso come fosse un dipinto. Più bianco dei suoi coetanei, con gli occhi azzurri o forse erano grigi.
Alex era così piccolo che sembrava arrivato nella classe sbagliata, come se avesse cinque o sei anni in meno dei suoi coetanei. Gli parlo ma lui non risponde a nulla, mi provoca, si assenta con lo sguardo, così mi avvicino e lo prendo per un braccio per chiedergli di fare un gioco con me, ma il suo braccio è scavato all’osso, senza carni a scaldare il circolo del sangue. Alex trema, ramo di faggio in una tempesta amazzonica.
Gli cingo le spalle e lo invito a mettere la mia felpa col cappuccio facendo notare anche a tutti i suoi compagni che stile ribelle il nostro Alex. Ridiamo tutti insieme. Ride un po’ anche Alex.
Diventa il mio assistente e ci sediamo insieme di fronte al cerchio, io racconto che cosa faremo insieme e lui sottolinea le mie frasi con un sorriso e a volte fa anche di sì con la testa.
Poi torna al suo posto e ci diamo la mano.
Alex passerà tutto il tempo del laboratorio sul corpo, avvolto nella mia felpa che gli arriva quasi fino ai piedi. Scriverà poi che il suo corpo è sofferenze e scoperte. Mi saluterà con un sorriso ringraziandomi all’uscita, porgendomi quella che era diventata una coperta per lui.
Scoprirò in seguito che.
Alex è figlio di una famiglia molto povera.
Alex appartiene ad un ceppo etnico particolare, non molto ben visto qui in Bolivia, di cui però non riesco a trovare informazioni.
Alex è malnutrito e a volte si addormenta sul banco durante le ore di lezione.
Alex appartiene ad una famiglia molto numerosa e non si sa se tutti riusciranno a studiare.
Alex vive in una casa che non ha i muri come le nostre case, è una casa piena di crepe, dalle quali entra la luce e anche tanto freddo quando arriva il vento del sud.
Alex non aveva mai disegnato il suo corpo mettendoci dentro i suoi sentimenti.
E così ho preso tutti gli altri fogli scritti durante il mese di viaggio e di seguito alcuni ritagli di anatomia poetica umana di tutti gli Alex incontrati.
Gioie e paure e possibilità.
Ho trascritto molto, ho fermato sul mio quaderno tutto quello che non potevo lasciar cadere.
Mi chiedo se morirò solo…
Ho paura che non sarò nessuno nella vita…
Il mio corpo è la vita per me, come se fosse un’altra anima…
Sto sperimentando la mia adolescenza…
Il mio corpo è una benedizione…
Perché a volte mi sento solo?
Una volta ho avuto paura del buio, ma i miei genitori mi hanno detto che con loro, non sarò mai solo…
Il mio corpo è la mia unità…
Il mio corpo è la mia felicità…
Cosa sono, come sono e perché?
Ho mille domande senza risposta, vorrei ci fosse qualcuno a cui farle tutte queste domande.
E continuano le parole e, come le parole, continuano le storie e le storie sono le persone e le persone sono esseri umani e Alex tremerà ancora un po’.