Di cosa parliamo quando parliamo di Endometriosi
di Gaia Grassi
È passato esattamente un anno dall’ultima volta che mi hanno ricoverato a causa sua – leggi endometriosi –, stremata dalle coliche addominali con cui convivevo da 10 anni.
Un anno in cui sono successe un sacco di cose. Perché quando passi attraverso un dolore così acuto e trasparente e ti ricordi – ma devi concentrarti molto bene per ricordarlo, eh – che sopravvivi, qualcosa cambia. Per forza. È una sorta di purificazione, tuo malgrado. Nel senso che avresti fatto volentieri a meno di purificarti tanto e così a lungo, ma così è.
Un dolore vero, che ti piega in due, ti spegne il cervello, ti fa contorcere, ti tiene letteralmente sveglia per giorni consecutivi, ti svuota lo stomaco. Un dolore puntuale, che ti si ripresenta minimo una volta al mese e con cui devi imparare a convivere per simulare una vita normale. Un dolore che devi accettare tu, ma anche chi ti sta attorno, dal compagno alla famiglia, dagli amici ai colleghi. Un dolore che ti toglie ogni forza, ti sfinisce, ti lascia vuota sul letto e ti fa urlare e piangere. E ti fa cantare, perché io per distrarmi dal dolore canto (“Sei Bellissima” della Bertè è tra le più gettonate per intensità, alternarsi di fasi crescenti e decrescenti che assecondano l’andamento delle coliche, acuti e una buona dose di drammaticità, che non guasta mai ).
Un dolore cui ti abitui a tal punto da farti sembrare che ti manchi qualcosa quando sparisce. Perché fa parte di te e senti quando non c’è. Un dolore che ti passa solo con la morfina e ti rallenta tutti i sensi, ti fa sentire pesante e spossata. Un dolore che impari a conoscere e senti arrivare e senti andar via. Un dolore che, quando capisci che sta per finire, ti pompa l’adrenalina direttamente al cuore e al cervello. Perché l’assenza immediata e improvvisa di un dolore cronico e fortissimo è di una potenza senza pari. Ti toglie il respiro e ti fa sobbalzare nel letto, come Uma Thurman in “Pulp Fiction”. Sudata uguale, fattissima uguale, posseduta uguale.
Un dolore che ti butta a terra, ti fa tornare alla realtà e ti urla in faccia la verità. Ti dice che lei – l’endometriosi – esiste, ha un nome e torna quando vuole. Anche se troppo spesso non la si riconosce, anche se la si diagnostica sempre troppo tardi. E il troppo, si sa, stroppia. Un dolore per il quale non è detto che tu riesca a trovare una cura, ma per cui a quanto pare sembra mi sia stata fornita una soluzione chiavi (e pasticche) in mano.
Anche questa volta – esattamente un anno fa, appunto – la solita purificazione è avvenuta. Ho preso decisioni importanti, scelto di mettere fine a situazioni che dovevano finire – relazioni incluse – e ho fatto una cosa mai fatta prima. Ho accettato l’invito di un’amica e sono entrata in un gruppo di quelli lì che ho sempre guardato con diffidenza e che a volte ho anche un po’ deriso. Ho vinto la mia reticenza, in realtà un po’ snob, e mi sono iscritta. E così, dopo essermi sentita tanto sola e non capita fino in fondo, ho scoperto un mondo in cui mi sono riconosciuta, un mondo di cui faccio parte, insieme a centinaia di altre donne che hanno provato ogni più piccola sfumatura del mio dolore. Ogni cosa che raccontano l’ho vissuta anche io e ogni volta che sono io a descrivere un dettaglio devo abbandonare quella tanto umana, quanto stupida presunzione di credere di essere l’unica ad aver provato certe cose. Perché, esattamente come me, sono centinaia le donne che conoscono quel dolore. Certo, molte sono lontanissime da me per scelte prese, per approccio alla malattia e alla vita, per modo di comunicare. Ma forse è proprio da loro che ho imparato di più e sono state loro a farmi scendere dal mio piedistallo. Perché quando stai così male per così tanto tempo, ti senti anche un po’ figa, ti credi forte e unica, a tuo modo. E invece no, sei uguale a tutte le altre. E ritrovi in te anche certi aspetti di cui ti pensavi immune: rientri in ogni casistica, fai parte di una percentuale. Come tutte le altre. È una malattia di quelle che ti riporta con i piedi per terra.
In questo anno, nel frattempo, l’endometriosi è stata anche riconosciuta come malattia invalidante e inserita a pieno titolo nell’elenco delle prestazioni sanitarie garantite, tra i Livelli essenziali di assistenza (LEA). Un piccolo grande passo. Che, se fosse arrivato prima, di certo avrebbe cambiato il corso di parecchie cose. E forse anche la mia vita sarebbe stata diversa. Non so se sarebbe stata migliore o peggiore, ma di sicuro meno faticosa.