Un documentario sulla comunità di ebrei ortodossi a New York
di Christian Elia
La forza di un messaggio che, da una sperduta landa nel cuore della frontiera orientale d’Europa, si è irradiata in tutto il mondo, è profonda.
Lo chassidismo, corrente dell’ebraismo ortodosso, è un movimento di massa che dalla Lituania e dalla Polonia è arrivato a contare proseliti in tutto il mondo. In particolare, Israele a parte, negli Stati Uniti d’America.
Come tutti i movimenti impetuosi, che nascono negli strati più umili (in origine) della popolazione, è molto forte nelle anime dei suoi seguaci, pugnace, pronto a tutto per continuare ad esistere.
Ecco che, nel cuore del XXII secolo, nel cuore di New York, che è il cuore della modernità, vive una comunità enorme, di ebrei ortodossi, che si rifanno a un’idea permeante di Dio e di fede, come cristallizzata alla visione del mondo del 1800.
In tempi in cui, a tutte le latitudini e in tutte le fedi, si assiste ormai da tempo a un ritorno di una fede quasi militante, sempre meno confinata nella sfera individuale della persona, è un fenomeno da indagare. Senza immaginare di confinare il ‘fondamentalismo’ in un’unica dimensione, guardando a un’unica fede, guardando a un’unica pratica come preoccupante.
One of us è un documentario – disponibile sulla piattaforma Netflix – racconta tre storie tra quelle di circa un milione di persone che compone la comunità. E non sono storie di libertà.
Le autrici, Heidi Ewing e Rachel Grady, che già avevano indagato il tema dei fondamentalismi in Jesus Camp, hanno seguito Etty, Ari e Luzer nella loro vita di tutti i giorni. Che è stata stravolta – in modo differente – dalla scelta di emanciparsi dalla comunità nella quale erano cresciuti.
Ed è difficile, perché prima di tutto, come dice uno dei protagonisti, “a nessuno di noi vengono dati strumenti per sopravvivere fuori dalla comunità, perché la comunità ti respinge e, in molti casi, ti perseguita a livello giudiziario (per esempio nel caso dell’affidamenti dei figli).
Etty, trent’anni o giù di lì, e sette figli. Sette. Da un matrimonio combinato dalle famiglie, nel cuore di New York, nel 2017. La famiglia del marito, che lei abbandona dopo aver subito per anni abusi e violenze, la minaccia, la perseguita, le porta via i bambini. In una lotta senza quartiere contro l’ong che cerca di aiutarla.
E poi Ari, diciotto anni, che scopre internet come Alice nel paese delle meraviglie, che pone e si pone domande, e Luzer, che abbandona la comunità per inseguire i suoi sogni.
Questo documentario è un viaggio nell’esclusione e nella ribellione, nel fondamentalismo del quotidiano, fuori dalla mono dimensione del racconto islamofobo.
In alcuni casi, in tutte le religioni, c’è un limite rispetto alle libertà individuali con le quali tutte le religioni si confrontano, come ci si confronta l’idea stessa dello stato laico.
Un confine sottile, quello tra rispetto della fede e libertà civili, tra legge degli uomini e delle comunità e leggi di Dio. Un tema che, se svalutato a strumento di propaganda politica, quasi sempre anti-islamica, non ci aiuterà a capire una società che in tanti casi sembra tornare indietro, mentre le democrazie scoprono di non aver tutti gli strumenti per gestire questo processo.