Ennesimo incendio nel ghetto di San Ferdinando, dove in condizioni drammatiche vivono i migranti impiegati nella raccolta delle arance: muore una donna trentenne. In azione la Protezione civile. Appena due settimane fa la denuncia del Medu: “Sono passati otto anni dalla rivolta del 2010 e la situazione nonostante le promesse non è cambiata”
tratto da RedattoreSociale
Una persona morta, due ferite e centinaia di sfollati: un altro, l’ennesimo, incendio nella tendopoli di San Ferdinando, vicino Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, riporta la zona alle spalle del porto di Gioia Tauro sotto l’attenzione dell’opinione pubblica a otto anni dalla rivolta che nel gennaio del 2010 vide contrapposti forze dell’ordine, cittadini e immigrati.
Una situazione di degrado, quella della baraccopoli, che periodicamente sfocia in incendi che causano morti e feriti.
Stavolta l’allarme è scattato alle due del mattino: l’incendio ha distrutto oltre 200 baracche e ripari di fortuna: i vigili del fuoco hanno rinvenuto il cadavere completamente carbonizzato di una donna, di circa 30 anni, che non è riuscita a mettersi al riparo mentre le fiamme avanzavano.
Altre persone sono state trasportate in ospedale per ustioni più o meno gravi e per intossicazione da fumo.
Il rogo non risulta essere di origine dolosa: l’ipotesi più probabile è che, come già accaduto più volte, le fiamme si siano propagate da un braciere accesso per scaldarsi nelle notte fredde della Piana. E infatti si parla, come sempre, di “tragedia annunciata”.
A Reggio Calabria nella mattinata di sabato 27 gennaio si è tenuta una riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica e la prefettura ha pianificato una serie di iniziative urgenti insieme alla Protezione civile: è stato disposto l’allestimento di una cucina da campo in grado di soddisfare le primarie esigenze alimentari di almeno 500 persone, mentre ai migranti rimasti senza baracca saranno forniti kit igienici, sacchi a pelo e coperte. Si appronterà nelle vicinanze anche una tensostruttura.
IN OTTO ANNI NON E’ CAMBIATO NULLA.
Poco più di due settimane fa, proprio in concomitanza con l’ottavo anniversario degli scontri del 2010, “Medici per i diritti umani” (Medu), organizzazione di volontariato impegnata in numerose attività di assistenza sanitaria, aveva denunciato come nella Piana di Gioia Tauro nulla o quasi è cambiato nel corso degli ultimi anni. I braccianti continuano a vivere in condizioni pietose, lavorando in larga parte in nero e per pochi euro al giorno.
Degrado, baracche, rifiuti la fanno da padrone nella ex tendopoli di San Ferdinando, mentre azioni di ripristino della legalità, lotta al caporalato e facilitazione dell’integrazione dei migranti non se ne sono viste, o se vi sono state non hanno avuto alcun risultato concreto. San Ferdinando è stato e continua ad essere uno dei ghetti più grandi d’Italia.
Denunce simili non sono certo nuove: sono anni che le organizzazioni impegnate nella zona denunciano gli inesistenti passi avanti compiuti.
Un esempio sono le parole che nel settembre 2015 venivano pronunciate dalla segretaria della Flai-Cgil della piana di Gioia Tauro, Celeste Lo Giacco, commentava la situazione: “La rivolta dei migranti di Rosarno non ha cambiato nulla, il caporalato è una realtà che combattiamo giorno per giorno in strada a fianco dei lavoratori”.
Nell’ultimo anno una novità di rilievo c’è stata: l’approvazione della legge sul caporalato (datata ottobre 2016).
Il bilancio del primo anno di attività, che Redattore Sociale ha chiesto nel settembre 2017 sempre alla Flai-Cgil, non è stato positivo: la lotta allo sfruttamento del lavoro agricolo ha faticato a raccogliere risultati nonostante la normativa, un protocollo nazionale e una rete del lavoro agricolo di qualità: “Abbiamo una buona legge, ma finora è inapplicata”.