Tra autonomia politica e culturale: nasce ad Haiti la prima rivista dedicata all’arte creola
di Alessandra Vitullo
Dopo il terribile terremoto che la colpì nel 2010, come si può parlare di Haiti senza associarla principalmente ad immagini di estrema sofferenza?
Come possono gli haitiani stessi raccontarsi provando a restituire una narrazione in cui la ricchezza, la complessità e la resistenza, di una nazione, si intrecciano nelle trame della sua storia passata e presente?
Un collettivo di ricercatori e artisti haitiani ha recentemente lanciato DO KRE I S un nuovo progetto editoriale che vuole raccontare Haiti, ed altre culture creole, attraverso l’arte e la sua stessa lingua, il creolo.
“Se c’è una visione del mondo creola, se c’è un’estetica creola, se c’è una verità interiore, una coscienza creola comune, dobbiamo esprimerla nella lingua che più ci si addice, poiché le lingue non hanno un solo popolo, ma sono la patria di tutti.”
DO KRE I S è una rivista che prende forma da un ideale: quello di voler affermare l’autonomia culturale e linguistica delle popolazioni creole, emancipandole dalle visioni che le considerano espressioni derivate.
La rivista si inserisce, infatti, all’interno di un percorso politico e culturale haitiano molto più ampio e per la maggior parte sconosciuto tra i processi storici internazionali.
«Haiti disturba» affermava, infatti, il sociologo Jean Casimir; disturba non solo per le sue sofferenze, ma soprattutto perché attraverso la sua storia, ha ripetutamente voltato le spalle alle regole e alle istituzioni coloniali, preferendo a queste la conservazione della propria autonomia di popolo sovrano.
Prima dell’indipendenza, Haiti era la prima colonia d’esportazione della maggior parte dei prodotti tropicali consumati in Europa, zucchero e caffè in primis.
La colonizzazione costruì un tessuto economico – fondato sul latifondo e ovviamente sulla schiavitù – che era in grado di produrre numerose ricchezze e altrettante disuguaglianze.
Agli inizi dell’Ottocento, la rivoluzione che portò all’indipendenza dell’isola caraibica, distrusse radicalmente l’intera struttura economica coloniale, sancendo la libertà di ogni haitiano: nessun cittadino di Haiti sarebbe più stato costretto a lavorare e a coltivare la terra, se non per scelta personale.
Haiti diventò così la prima Repubblica indipendente, nera e anticolonialista della storia. L’isola rappresentò un punto di svolta nella storia dei processi di decolonizzazione. La maggior parte dei leader indipendentisti sudamericani, come Bolivar e Martì, trovarono rifugio ad Haiti, o quantomeno vennero ispirati dalla sua esperienza rivoluzionaria.
Tuttavia le tracce del colonialismo ebbero ripercussioni non solo nell’economia haitiana, ma sul suo intero assetto socio-culturale, permeandone la stessa lingua.
Il creolo parlato ad Haiti è basato, infatti, per l’85% sul lessico francese: le parole che provengono dal francese, una volta acquisite dal creolo haitiano, cambiano forma e diventano morfologicamente parole creole.
Un fenomeno ricorrente, ad esempio, è quello dell’agglutinazione linguistica, ossia quando due parole generalmente distinte si uniscono, creando una sola nuova parola: la banque> labank; la fumée > lafimen; la chaux > lacho; la boue > labou; les hommes > lèzòm; les autres > lèzòt; les eaux > lèzo, les rois > lèwa, etc
Partendo da questa base, DO KRE I S, scritta per la maggior parte in creolo e occupandosi esclusivamente di arte creola, vuole essere un manifesto per la determinazione dell’autonomia di queste culture e lingue, che nel tempo, si sono sviluppate come prodotti indipendenti e originali.
“Prodotto sociale della facoltà del linguaggio e nello stesso tempo un insieme di convenzioni necessarie adottate dal corpo sociale per permettere l’esercizio di questa facoltà presso gli individui” (Saussure), le lingue avvicinano gli uomini, proprio come tutte le passioni.
Nelle piantagioni, nelle miniere, nei laboratori, i maestri e gli schiavi dovevano comunicare, ma è volendosi avvicinare ai suoi pari, che lo schiavo inventò il creolo.
Con il suo primo numero dedicato al tema del viaggio (Voyage>Wvayaj), la rivista “ambisce a diventare uno strumento di riferimento per tutti coloro che desiderano intraprendere ricerche su culture e lingue creole – afferma uno dei suoi fondatori e attuale direttore, Jean Erian Samson – consentendo ai paesi e alle regioni del mondo di lingua creola, che hanno la stessa base culturale, di scoprirsi, e di incontrare gli artisti, i poeti, gli scrittori, e gli studiosi di queste lingue e di queste ricchissime culture. Sarà una finestra che aprirà alla comprensione degli altri e di noi stessi, tutti intesi come persone creole. Riconosciamo, infatti, che l’educazione è la migliore arma contro la violenza, il crimine e gli abusi, chiaramente presenti nella nostra società – prosegue Jean Erian, che oltre alla rivista coordina numerose attività editoriali e culturali sull’isola – tuttavia, il sistema educativo haitiano è molto debole, specialmente dopo il sisma del 12 gennaio 2010, che ha distrutto molte infrastrutture scolastiche e creato molti emarginati. Date le carenze del sistema, i programmi scolastici e universitari sono ancora oggi prevalentemente supportati da programmi educativi alternativi”.
Nonostante, infatti, dal 1998 al 2008 siano stati diretti ad Haiti circa 5 miliardi di euro in aiuti umanitari e nonostante, in termini pro-capite, il paese abbia ricevuto più del doppio della media mondiale di donazioni e molto di più di quei paesi con simili livelli di povertà e vulnerabilità (come la Sierra Leone, o la Somalia).
Il paese non ha di fatto migliorato significativamente nessuno dei settori di competenza statale, rilevanti alla riduzione della povertà. Educazione, sanità, assistenza sociale, sono, infatti, quasi del tutto lasciati all’iniziativa privata, in gran parte riconducibile all’azione di organizzazioni internazionali umanitarie, o gruppi religiosi.
Tuttavia il primato storico di Haiti nell’essere stato il primo paese sudamericano a rivendicare la propria indipendenza politica, oggi si riconferma anche nella cultura.
DO KRE I S è, infatti, un gesto che interessa “tutti i popoli che condividono questa lingua e quindi in parte anche una certa storia – conclude Jean Erian – perché la créolité non è solo un affare linguistico, è un’intera cultura, che serve ad arricchire l’ibridismo universale.”