Il graphic novel recentemente pubblicato da Bao è un inno alla vita, un appello a non girarsi
dall’altra parte di fronte alle tragedie dei nostri tempi e a vivere un’esistenza piena
di Luca Rasponi
Ci sono i fumetti d’amore. Le epiche storie familiari che attraversano i decenni. Le biografie dedicate ai grandi personaggi. I graphic novel che affondano le radici nell’attualità. E poi c’è Non
stancarti di andare. Che è tutto questo e molto di più.
Difficile a credersi, soprattutto se capita di rendersene conto durante la lettura. Ma è proprio così: in questo poderoso volume di 320 pagine formato 19×26, pubblicato da Bao a novembre 2017, gli autori Teresa Radice e Stefano Turconi sembrano aver voluto mettere tutto, sia a livello narrativo che personale.
C’è tanto, tantissimo, quasi troppo in certi momenti: Non stancarti di andare è zeppo di citazioni, spesso gradevoli ma che a tratti appesantiscono i dialoghi. Senza contare che le pagine disegnate sono interrotte da brani testuali che in un volume di così grande formato fanno l’effetto del muro di testo, spezzando il ritmo avvincente della narrazione e togliendo spazio a tavole disegnate belle, ricche di colori, cariche di espressività e dolcezza.
L’andamento della sceneggiatura sembra voler replicare quello della vita, che alterna momenti frenetici a spazi per la riflessione. Anche se ne risulta una lettura non sempre scorrevole, l’esperimento è interessante, con un risultato che si potrebbe descrivere citando i versi di Questa è la mia vita:”certi giorni sembra troppa, e invece non lo è mai”.
La vita è quella che scorre potente negli occhi, nei pensieri e nelle vicende di Iris e Ismail, due
giovani innamorati che cercano di costruire il loro percorso insieme sfidando le insidie del mondo.
Lei è un’illustratrice naturalistica, lui ricercatore e docente di archeologia.
L’anno è il 2013, tutto sembra andare per il meglio fino a quando la guerra raggiunge Ismail, tornato in Sira a raccogliere le sue ultime cose prima di trasferirsi definitivamente in Liguria.
Il suo tormentato viaggio di ritorno verso l’Italia scorre in parallelo non soltanto alla gravidanza
di Iris – che scopre di essere incinta appena dopo la partenza del compagno – ma a un ricchissimo intreccio di eventi che abbraccia ottant’anni di storia familiare della protagonista.
Dall’emigrazione in Argentina negli anni’30 fino alla dittatura militare, dal problematico rapporto con la madre al viaggio in Siria nel 2007, dove incontra Ismail per la prima volta nel calore dell’abbraccio di padre Saul.
Questa figura bonaria e barbuta si staglia come un punto di riferimento imprescindibile lungo tutta la narrazione, svelando il carattere in parte autobiografico delle vicende: padre Saul, infatti, altri non è che Paolo Dall’Oglio.
Nel suo infaticabile sforzo di mediazione e dialogo tra le diverse religioni che abitano la Siria, padre Saul assurge al ruolo di guida spirituale per i due ragazzi, esplorando insieme a loro i sentieri di una fede prima perduta e poi (forse) ritrovata.
La sua figura, al pari del disperato viaggio di Ismail verso l’Italia, fa da anello di congiunzione tra
la vicenda dei protagonisti e quella più ampia del Paese mediorientale e delle migrazioni che attraversano il Mediterraneo.
La traversata di Ismail e le circostanze che lo spingono al limite della sua umanità pur di sopravvivere ricordano fin troppo da vicino, sovrapponendovisi anche temporalmente, la toccante testimonianza di Liliana Segre su Auschwitz, letta e ascoltata spesso nelle ultime settimane.
Come in questo caso, più di una volta il gioco di rimandi e citazioni che alimenta Non stancarti di andare finisce per estendersi naturalmente all’esterno della narrazione, arrivando a connettersi con la realtà al di là delle pagine.
“Forse quello che conta non è chi pratica il culto e chi non lo pratica… ma semplicemente chi
ama e chi non ama” dice Iris, richiamando inconsapevolmente le parole di padre Saul a Ismail: “Nulla resta se non l’amore”. Un’affermazione che rievoca a sua volta, come un’eco lontana, i versi dalla recentissima Love is all we have left degli U2.
È qui che prende sostanza il nucleo più forte e significativo del graphic novel, che è un inno alla vita e un appello a viverla nel migliore dei modi. Un appello impegnativo, a tratti persino duro da mandare giù, che prende la forma di un doppio invito a non voltarsi dall’altra parte.
Prima di tutto nei confronti di quello che sta succedendo nel Mediterraneo, in Siria, e più in generale in quei luoghi – solo apparentemente lontani da noi – dove si consumano tragedie umane alimentate senza tregua dalla nostra indifferenza.
E poi una sfida a noi stessi, a non accontentarci di quello che siamo se la nostra vita non
corrisponde a quella che sognamo, se abbiamo un’idea da realizzare e cerchiamo il coraggio per riuscirci.
“Spero che tu possa essere orgogliosa della tua vita. E se ti accorgi di non esserlo, spero che tu
trovi la forza di ricominciare da zero”, scrive Benjamin a Daisy nel film Il curioso caso di
Benjamin Button.
È questo l’invito di Teresa Radice e Stefano Turconi, sussurrato fin dal titolo nelle orecchie del
lettore: Non stancarti di andare.