La Parigi degli aani Sessanta, il mondo dell’arte e della cultura
di Irene Merli
FINAL PORTRAIT-L’arte di essere amici, di Stanley Tucci, con Geoffrey Rush, Arnie Hammer, Clemence Poesie, Sylvie Testud, Tony Shalhoub, James Faulkner. Nelle sale.
Parigi, 1964. Alberto Giacometti ha già un indiscusso successo, sia nel mondo dell’arte che in quello di importanti acquirenti e committenti.
Anche un suo schizzo ormai ha un grandissimo valore, ma lui continua a vivere in un atelier e in una casa ai limiti della decenza.
E a fare una vita a dir poco disordinata, tra sculture e disegni affastellati gli uni sugli altri, vecchi vestiti e montagne di banconote nascoste nei punti più improbabili e spesso dimenticati, sedute creative e bevute nei bistrot.
Un giorno nella sua eccentrica vita capita James Lord, uno scrittore americano giunto a Parigi che lo ammira moltissimo e gli chiede un ritratto, pensando di cavarsela con poche pose.
E invece il processo creativo durerà 18 giorni, a ritmi massacranti, con improvvisi stop, disfacimenti, ripensamenti, e persino sparizioni (dell’autore). Mr.Lord entrerà nella vita di Giacometti più di quanto avrebbe pensato, nel bene e nel male, ma alla fine ce la farà a portarsi a casa l’ultima opera del grandissimo artista svizzero, che dopo poco morirà.
Stanley Tucci, alla sua quinta prova da regista, si avventura in un’impresa difficile: raccontare l’incompiutezza dell’arte, in particolare quella di Giacometti, che per tutta la vita affermò di non essere mai riuscito a scolpire o a disegnare una testa umana come la vedeva.
In una celebre intervista del 1963 alla Radio Svizzera Italiana, disse addirittura di avere realizzato solo figure mancanti.
Non è quindi per nulla esagerato o manieristico il modo di rappresentare la sua spirale creativa in Final Portrait: Giacometti era un artista tormentato, instabilmente lucido, e un uomo completamente inaffidabile.
E questo lo scopriamo bene nel film, girato in forma diaristica e quasi tutto nell’atelier parigino di Giacometti, dove potevano entrare quotidianamente solo tre persone: il fratello e assistente Diego, la moglie Annette e l’amante Caroline, tre sorprendenti personaggi di contorno che rendono più vivo e sfaccettato il tentativo di ritratto cinematografico di un genio al lavoro.
La macchina da presa di Tucci spia ogni gesto delle mani e dei volti dell’artista e del modello, ma a sua volta Mr.Lord, nelle lunghe sedute di quelle memorabili settimane, spia colui che lo ritrae, impara a conoscerlo, a comprenderne le strane reazioni, gli improvvisi sconforti, le fughe.
Tanto che al ritorno in America scriverà il diario della sua esperienza di testimone privilegiato, ” A Giacometti portrait, che è stato alla base del lavoro di sceneggiature del regista.
Geoffrey Rush, poi, non solo si cala in questo ruolo con eccezionale bravura, ma è anche di una somiglianza commovente per chiunque ami Giacometti: basta vedere la locandina di Final Portrait per rendersene conto. E straordinario è pure Tony Shalhoub, nella parte del pazientissimo e indispensabile fratello Diego, suo modello di tante teste… Incompiute.
Insomma un film raffinato, inconsueto, che piacerà agli appassionati d’arte e non.
E’sempre interessante quando il cinema posa il suo sguardo su un’altra forma d’arte per disvelarla.