Tra pluralismo e radicalizzazione
testo e foto di Riccardo Pareggiani
Il reportage vuole individuare la situazione generale dei transgender in Indonesia, quarto paese più popoloso al mondo nonché la Nazione musulmana maggiore dell’intero pianeta.
I Waria, così definiti i membri della comunità transgender, una parola che mette insieme i termini indonesiani Wanita (Donna) e Pria (uomo), cercano da una decade il riconoscimento formale dei loro diritti come “terzo genere”, nonché la parità a livello religioso in un ambiente sempre più conflittuale.
A Java c’è Shinta Ratri, donna transgender di 54 anni, leader dell’unica scuola coranica al mondo gestita da membri della comunità LGBT: la Pondok Pesantren Waria al Fatah.
La madrassa venne da lei fondata nella sua vecchia casa per creare un luogo dove i Waria avessero la possibilità di pregare insieme senza dover rimanere isolate nelle loro case, superando quella “frontiera sociale” del binarismo di genere che impone a uomini e donne di pregare divisi nelle moschee.
La comunità transgender in Indonesia è abbastanza numerosa, dati precisi non se ne conoscono dato che un censimento non è mai stato compiuto.
Secondo Shinta, la quale accoglie nella Waria persone da tutte le parti del Paese, solo nella città di Yogjakarta ci sono all’incirca 372 transgender, in tutta l’isola di Java più di un milione e la comunità LGBT complessiva in Indonesia raggiunge quasi i 10 milioni di membri, 2 milioni di transgender.
L’obiettivo di Shinta è quello di “dimostrare che l’Islam accoglie anche i transessuali e le persone facenti parte della comunità LGBT ed è una religione per tutta l’Umanità” afferma.
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