La via della Seta

Una storia millenaria tra Oriente e Occidente, la recensione del libro di Alessandro vanoli e Franco Cardini

di Silvia Moresi

 

«La parola “radici” non mi piace, e ancor meno l’immagine che evoca.
Le radici affondano nel suolo, si contorcono nel fango
e si sviluppano nelle tenebre. Trattengono l’albero prigioniero da quando nasce […].
Al contrario degli alberi, le strade non spuntano dal suolo a caso, dove germoglia un seme.
Come noi, hanno un’origine. Un’origine illusoria,
perché le strade non hanno mai un punto di partenza reale.
Prima di quella curva ce n’era un’altra; e prima di questa un’altra ancora.
L’origine diventa irreperibile, giacché a ogni incrocio
si incontrano altre strade
che hanno altre origini.»
Amin Maalouf*

La via della seta. Una storia millenaria tra Oriente e Occidente

Non di radici, ma proprio di origini, strade e percorsi narra La via della seta. Una storia millenaria tra Oriente e Occidente, scritto dai due storici, Franco Cardini e Alessandro Vanoli, ed edito dalla casa
editrice Il Mulino.

Parlare di questo volume come di un saggio storico forse non è del tutto corretto, perché le sue pagine sono principalmente un viaggio nella Storia, una Storia finalmente non unidirezionale, ma osservata da tante prospettive, una Storia non utilizzata, come spesso accade nei testi scolastici, per ricostruire radici gloriose e rinsaldare legami con la patria.

La via della seta, nome dato a metà dell’Ottocento dal viaggiatore tedesco Ferdinand Von Richthofen, non era una strada reale, tracciata, definita, ma un insieme di percorsi terrestri e marittimi sui quali, nel corso dei secoli, hanno transitato e si sono incrociati uomini, merci, idee, religioni, identità,
dall’estremo Oriente fino all’Europa, e viceversa.

Ripercorrendo temporalmente e materialmente queste “strade”, immediatamente si sgretola l’illusione che vorrebbe l’Occidente come eterno «motore delle vicende umane», perché in realtà per un lunghissimo periodo, nell’epoca premoderna, l’Asia è stata “il cuore della civiltà”, e la Cina dominava l’economia mondiale, come è tornata a fare nell’epoca attuale.

La via della seta si è creata e si è “nutrita” degli sconvolgimenti politici ed economici di un intero
continente, l’Eurasia, perché la suddivisione tra Europa ed Asia è ancora una volta un’illusione, una
costruzione politica e culturale, nata dal solito mortifero amore per i “confini”.

Dal Mediterraneo sino alla Cina, dal VI secolo a.C. sino all’epoca moderna, questo groviglio di strade
racconta di conquiste, di guerre, di commercio, di sincretismi ma anche di mondi mitici e paure generate come sempre dalla non conoscenza reale.

E così, nel Gandhara, tra Pakistan e Afghanistan, tra il I secolo a.C. e il V secolo d.C., si potevano trovare statue di Buddha vestito “alla greca”, ornato con foglie di Acanto, pianta mediterranea, e con elementi iconografici della cultura nomade della steppa.

Il commerciare con terre lontane non significava però avere sempre una conoscenza diretta dei popoli
che in quelle terre vivevano, e che venivano descritti quindi attraverso pochi indizi e una buona dose
di fantasia: Plinio, nel I secolo d.C., nella sua Naturalis historia, descriveva la popolazione nomade degli Sciti, sui quali aveva incerte informazioni, come un popolo di selvaggi antropofagi, mentre le favole e i racconti fantastici degli scrittori arabi influenzarono non poco le conoscenze geografiche dei marinai, fino a creare immaginarie isole, come quelle di Waq Waq, a oriente della Cina, una terra ricca di oro, l’eldorado islamico, dove i frutti degli alberi apparivano come donne appese per i capelli, frutti che producevano proprio il suono waq waq. una volta maturi.

I “sensi di marcia” sulla via della seta si sono più volte invertiti; la conquista ottomana spinse gli europei a cercare nuove vie di commercio anche a ovest, nel nuovo mondo, ma poi fu nuovamente l’Occidente a spingersi verso Oriente, con l’inizio del colonialismo ottocentesco.

La storia della via della seta inizia a dissolversi gradualmente con l’inizio dell’epoca moderna e, nel
libro, il racconto si ferma a metà del Novecento, quando quel percorso divenne “tante, troppe cose diverse”.

Ora che il senso di marcia di questo percorso pare essersi nuovamente invertito, con la spinta della
potenza economica cinese, e con i nuovi flussi migratori dall’est, questo libro ci ricorda che le nostre
identità nascono proprio su quelle strade, e sono identità in transito come le carovane che percorrevano la via della seta, identità impure.

E allora, oggi, rinchiudersi in una fortezza, alimentare le paure con racconti immaginari, e “invocare l’arrivo dei barbari” è assurdo ed insensato perché “Se c’è una cosa che dovrebbe essere chiara da questo lungo racconto, è che i barbari sono solo un problema di punti di vista. Un po’ come l’idea di Occidente e quella di Oriente”.

*(Origini, Bompiani)