La Colombia, tra processo di pace ed elezioni
di Lorenza Strano
Un viaggio virtuale nella Colombia che resiste. Ogni episodio darà voce a uno dei municipi de Los Montes de Maria, in cui i sopravvissuti al logorante conflitto parlano di sé, dei loro talenti, della loro resilienza.
Video, foto e audio cercheranno di tramettere l’immensa accoglienza della gente, tra scene di vita quotidiana, emergerà quel lato della storia poco raccontato, quello delle “vittime” che non si arrendono ai ricordi di dolore.
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Capitolo 2 – San Jacinto
Da San Juan si passa a San Jacinto con duemila pesos, tra avvallamenti vari dell’asfalto, uno dei tratti più fastidiosi per chi viaggia in bus.
I rooibos fanno compagnia durante la passeggiata, rosa, gialli e marroni quando sono in fiore si stagliano sullo sfondo a tratti verde a tratti secco, in tutta la loro esuberante bellezza.
L’entrata si riconosce subito dalla sfilata di amache, borse e artigianato che accompagna come una processione l’ingresso al paesino. Famoso per la gaita, vive sospeso tra il nome importante del passato glorioso dei gaiteros e un presente avvilito dall’acqua che non c’è, dai rifiuti che crescono, da un riscatto che non arriva.
Nella periferia si mangia due volte al giorno, dopo o durante un’abbondante colazione a base di platano, uova e name con suero, arriva il camion dell’acqua.
Anche i più piccoli caricano ondeggiando i bidoncini gialli e bianchi. Uno costa 500 pesos e può durare anche un solo giorno.
Passato il ponte camminando su una strada di pietruzze su cui incespicano i motorini, sotto il sole verso la chiesa, i rifiuti disseminati tra i cani randagi lasciano il posto a murales coloratissimi che raffigurano i grandi musicisti.
Come figure eroiche diventano quasi mitiche. Julian, che non tornava al paese da 4 anni, le osserva fieramente, vuole riavvicinarsi al suo passato che gli costò l’etichetta di vittima. Di fondo i picò strimpellano un raggaeton dal sapore quasi triste.
Il gaitero Rafael e la figlia
Non mi mostrò la gaita immediatamente. Mi riservò l’onore di poter ascoltare la sua musica alla fine della nostra intervista.
In un quartiere a pochi passi dalla piazza in ricostruzione, ci incontrammo davanti la sua casa all’angolo della strada in salita con tutta la schiera di casette tipiche con cancelletti colorati o bianchi.
Le casse suonavano forte un irriverente raggaeton che lo molestava e che prese come pretesto per parlarmi delle difficoltà di un gaitero che vuole vivere con e per la sua musica. Siamo seduti fuori dal suo piccolo negozietto, tra chewing-gum, dolciumi vari che piacciono tanto ai colombiani.
Sfilano ragazzini per comprare le leccornie in un pomeriggio noioso, interrompono ma danno ritmo alla conversazione.
Un ritmo lento e difficile che lascia trapelare tra le righe la rabbia di dover suonare la gaita come hobby, come passatempo, come dedizione e non riuscire a farne qualcosa che possa far rinascere il nome di San Jacinto.
Con i pesos del negozietto, si dedica a una scuola di gaita e canto tradizionale che manda avanti con sacrificio. Anche la figlia è tra gli allievi.
La chiama a suonare tra un compito di scuola e l’altro, lei con prontezza davanti alla mercanzia dà vita a una melodia dolce e la parte del mondo brutta e violenta di colpo scompare. Mentre studia l’inglese confessa che vuole seguire le orme del padre.
Un musicista che ha investito tutto sulla sua arte, lui che non ha mai studiato musica e non sa cosa sia la scala musicale, sa tutto ciò che c’è da sapere sulla gaita.
L’avrà ripetuto mille volte e una volta in più mi spiega che lo strumento è fatto con materiale silvestre che ogni strumento è una storia a sè e che hanno tutti un suono differente.
La sua gaita è femminile che a differenza della variante maschile dirige tutta la melodia, ha un suono che a tratti sembra interrompersi come fa la voce se c’è un nodo in gola.
Con naturalezza, come fa ogni essere umano respirando, Rafael si unisce alla sua gaita, concedendomi qualche minuto musicale prima di ributtarmi nel mare delle interviste. È una musica che oltre alla malinconia mista alla felicità ha i toni di una resistenza dolce.
VIDEO GAITERO
Joel, studente e contadino
La passione per la politica non è qualcosa che si svincola dal contesto rurale. Lo sa bene Joel, una vita passata tra i campi col padre, anni sui libri di filosofia politica, proiezioni sul futuro della classe contadina montemariana che lotta per i diritti.
Studia scienze politiche, parla di Marx e Hegel mentre tra una cosa e l’altra mi spiega come si coltivano name e yuca, come si ricava colla naturale da un piccolo frutto che cresce spontaneo, come montare un asino.
La combinazione salta agli occhi immediatamente: indossa una camicia leggera azzurrina ed un sombrero di paglia tipico dei contadini colombiani.
La bontà d’animo e la sensibilità trasuda da tutti i suoi pori e i suoi gesti di accortezza.
Deve avvicinarsi di più e leggere il labiale per poter conversare bene, gli anni passati a prestare servizio militare gli hanno danneggiato l’udito. Con gli occhi sereni racconta quando si è trovato di fronte ai guerrilleros.
“Avevano il mio stesso sguardo, le mie stesse pene, li sentivo uguali a me” confessa mentre sorseggia il tinto. La passione per la politica l’ha sempre avuta e se il conflitto ha reso difficile la situazione non ha mai smesso di credere nella partecipazione. Qual è la sua ricetta?
Il bocca a bocca, parlare a ogni contadino nella propria casa e informarlo sulla situazione dell’agricoltura e sull’organizzazione della protesta.
Commenta che i semi di questa vocazione sono stati i processi iniziati già al liceo, che sono poi cresciuti con le lotte portate avanti nel campo per il campo nonostante il divorzio perenne tra la burocrazia bogotana e il territorio.
Si definisce rappresentante della gente, dei piccoli agricoltori che come canne al vento stanno sempre in balia del clima.
La siccità che distrugge, il cambiamento climatico che avanza hanno reso, insieme al conflitto, il lavoro complicato. Per San Jacinto, Joel ha aspettative congelate come il tempo che qui sembra essersi fermato.
Se le condizioni rimarranno queste le cose non cambieranno. La parola chiave sembra essere piccolo: piccoli agricoltori, piccola scala. Uno sguardo profondo coglie la potenza di una coscienza politica che alza dal campo, prende forza dalle persone che come Joel che sono realiste ma sognano ancora.