In mostra a Milano, fino al 4 aprile 2018
di Giusi Affronti
Un’infilata rutilante dritta nelle orecchie in un’installazione audio 3D a cura di Sennheiser: For what it’s worth di Buffalo Springfield, Eve of destruction di Barry McGuire, My generation di The Who, Fortunate Son di Creedence Clearwater Revival, A white shade of pale di Procol Harum, Tomorrow never knows dei Beatles e la canzone-manifesto The times they are a-changin’ di Bob Dylan. Ed è subito meraviglia.
Dopo Bowie is, arriva a Milano [dal 2 dicembre 2017 al 4 aprile 2018] negli spazi della Fabbrica del Vapore Revolution. Records and Rebels 1966 – 1970, a cura di Victoria Broackes e Geoffrey Marsh: nasce dalla partnership tra Victoria and Albert Museum e Sonnheiser, brand leader nel settore audio, e raccoglie oltre cinquecento memorabilia fra libri, LP, fotografie, abiti e oggetti di design.
Revolution equivale a una matrioska di cammei e suggestioni, perché gli Anni Sessanta appartengono alla memoria e alle pance di tutti, giovani e adulti.
In Europa, l’establishment al potere è bianco, attempato, xenofobo e bigotto quando, nel 1967, Tom McGrath sull’International Times titola: “The revolution has taken place within the minds of the young”.
A documentare quella generazione “blown up” sono fotografi come John Cowan, Terry O’Neill, David Bailey, Terence Donovan e Brian Duffy.
Revolution è un’idea che soffia quasi contemporaneamente in diversi paesi del mondo: da Carnaby Street nella Swinging London alle comuni hippy di Haight-Ashbury, dall’innovazione tecnologica della Bay Area alle proteste del Maggio Francese.
Mary Quant scopre per la prima volta le cosce delle ragazze e trasforma il panorama dell’industria della moda, mentre la stampa underground e la musica pop-rock – ascoltata su giradischi Dansette e dalle radio a transistor – si ergono a principale strumento di comunicazione e narrazione.
Per diventare cosmonauta di se stessa la generazione Sessanta pratica la meditazione trascendentale, sperimenta l’LSD e manifesta contro la guerra in Vietnam con slogan che strillano ai padri:
“What will you tell your children when they ask you why tolerated this war?”.
E ancora, il femminismo, i movimenti a favore dei diritti degli omosessuali e dei neri, le Esposizioni Universali, l’allunaggio, le sperimentazioni Fluxus di Yoko Ono in un letto di pace.
Sdraiati su un prato d’erba sintetica, in uno schermo gigante, Revolution proietta l’intero festival di Woodstock.
Non resta che goderselo, pezzo dopo pezzo, e immaginare di scappare dalla claustrofobia di una cittadina di provincia per unirsi ad altre 400mila persone per un weekend di musica, sesso e libertà ascoltando Joan Baez, Janis Joplin, Jefferson Airplane, Joe Cocker e Jimi Hendrix.
Per sognare un tempo passato e per costruire un progetto futuro.
Perché “we gotta get out of this place ‘cause, girl, there’s a better life. For me and you”.