Ecuador, nuovo corso
di Giacomo Finzi
Il Presidente Lenin Moreno ottiene un’ampia maggioranza nei sette ‘quesiti’ della Consulta Popolare del 4 Febbraio scorso in Ecuador.
Con questa vittoria, Moreno cerca di consolidare il suo mandato presidenziale, archiviando – temporaneamente – la sfida lanciata dall’ex presidente Rafael Correa.
Oltre il 64% degli ecuadoriani si è schierato contro la possibile rielezione delle cariche pubbliche e istituzionali che escluderebbe de facto il ritorno di Correa, mentre il 63% ha approvato l’elezione popolare dei membri del Consiglio di Partecipazione Cittadina (Consejo de Participación Ciudadana).
Circa il 73% degli elettori ha approvato l’interdizione alle cariche pubbliche per funzionari indagati per corruzione
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Nonostante l’ampia maggioranza raggiunta, in molti si attribuiscono la paternità del risultato plebiscitario: esultano i sostenitori di Lenin Moreno, ma esultano anche i sostenitori del partito del magnate conservatore Guillermo Lasso, anch’essi a favore della Consulta; esultano invece a metà gli ecologisti, la sinistra radicale ed i movimenti indigeni poiché nonostante l’approvazione di timide misure di protezione a favore del parco Yasuní (oltre il 67% degli elettori), minacciato dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, e la proibizione dello sfruttamento delle risorse minerarie nei centri urbani (oltre il 68% della popolazione), l’attuale governo non dimostra di essere intenzionato a mettere in discussione l’attuale modello estrattivista.
Nel frattempo, l’ex Presidente Correa denuncia la campagna di ostruzionismo mediatico e politico condotto dall’ex delfino Moreno.
Gli oltre tredici milioni di cittadini ecuadoriani chiamati alle urne hanno pertanto ratificato la fiducia ed il sostegno all’attuale Presidente della Repubblica, aprendo una nuova finestra di governabilità alla nazione andina che, a seguito delle elezioni presidenziali del maggio 2017 dall’esito incerto, rischiava di sprofondare nuovamente in uno scenario politico di seria instabilità, riecheggiando il possibile tramonto politico della Revolución Ciudadana (2007-2017) e l’impensabile resurrezione del partito socialcristiano e delle destre populiste che avevano governato ininterrottamente il Paese fino all’avvento di Rafael Correa.
Proprio per questo, sin dai primi giorni di governo, Moreno aveva voluto aprirsi un cammino politico autonomo, all’insegna del ‘dialogo nazionale’, un inefficace tentativo di riconciliazione tanto con i partiti di destra, capeggiati dal magnate Guillermo Lasso, ma anche nei confronti dei movimenti indigeni CONAIE ed ECUARUNARI, movimenti sociali di sinistra radicale ed ecologisti, divenuti la maggiore spina nel fianco del governo di Correa.
Con tali manovre, Moreno aveva voluto inoltre prendere apertamente le distanze dalla deriva personalistica del governo di Correa, riconoscendo la difficile eredità delle finanze pubbliche ecuatoriane, prodotto della crisi economica dovuta principalmente al calo senza precedenti del prezzo del greggio a partire dal 2013, all’eccessivo indebitamento nei confronti della Repubblica Popolare cinese, a fronte degli investimenti petroliferi ed infrastrutturali, ed infine agli scandali di corruzione che legano l’ex presidente Correa ed il Vicepresidente Glas.
Per questo la vittoria di Moreno alla Consulta rappresenta soprattutto un ulteriore colpo di mano del Presidente nei confronti del suo predecessore, Rafael Correa.
Da una parte tali mire ‘autonomistiche’ erano viste dall’ex presidente come un tradimento dello spirito e dei principi della Revolución Ciudadana, e come un possibile ritorno – de facto – delle destre al potere: agli occhi di Correa, Moreno stava progressivamente cedendo alle richieste ed alle offensive di Lasso e dei gruppi imprenditoriali ecuatoriani.
In realtà, ciò che ha maggiormente contribuito ad un secco distacco dal ‘correismo’ è stata senza dubbio la decisione dell’esecutivo di provvedere in un primo momento alla destituzione ed in seguito all’arresto preventivo del Vicepresidente della Repubblica Jorge Glas (unico braccio destro di Correa nell’attuale governo), per presunti legami con lo scandalo della multinazionale brasiliana Odebrecht e di corruzione nella vendita di contratti petroliferi con la Repubblica Popolare cinese.
Da quel momento si è dunque inasprito lo scontro politico tra Moreno e l’ex presidente Correa, tanto all’interno del dibattito del partito Alianza PAIS (recentemente i sostenitori correisti avevano cercato di destituire e successivamente espellere Moreno dal partito) come nel dibattito politico nazionale, divenendo quest’ultimo il principale oppositore dell’attuale governo.
Una lotta politica senza esclusione di colpi, nella quale Correa ha più volte lanciato pesanti accuse all’attuale mandatario ecuadoriano per i suoi ingenui tentativi di compromesso storico con i partiti di destra ed i potenti gruppi imprenditoriali e mediatici, ma soprattutto per l’accusa di tradimento ai principi ed ai valori della Revolución Ciudadana di cui già non era un degno erede.
Per riaccendere qualche speranza all’interno del partito Alianza PAIS (lacerato tra le fazioni ‘correiste’ e ‘leniniste’) e difendere in prima persona l’amico Glas – vittima di una persecuzione giudiziaria – Correa ha immediatamente sospeso la sua permanenza in Belgio, dove si era ritirato per esercitare la professione di docente universitario, anticipando un rientro in patria ed avviando una campagna politica ed elettorale dichiaratamente contro il suo ex delfino, anche in vista del voto di domenica scorsa.
Ma, dietro al suo ritorno, si celava soprattutto una motivazione personale, ovvero giocarsi le ultime carte per aspirare alla presidenza nel 2021: infatti, il secondo quesito della Consulta Popolare pretendeva abolire la rielezione indefinita delle cariche pubbliche ed istituzionali ecuatoriane, oltre all’abolizione del Consiglio di Participazione Cittadina (Consejo de Participación Ciudadana), ritenuto un organo di Stato che rappresentava gli interessi del potere esecutivo, istituito sempre nel decennio correista.
Cosí facendo, Correa ha voluto fino all’ultimo evitare che si precludessero le proprie aspirazioni presidenziali, inaugurando un’audace campagna di opposizione.
Proprio per questo, dal suo rientro in patria, Correa ha percorso in lungo e in largo il Paese, promuovendo la campagna per il ‘No’ a tutti e sette i quesiti referendari, presentandosi come unica voce dissidente dinanzi all’attuale governo.
Oltre a ciò, Correa ha più volte denunciato la campagna ostruzionista dei principali media nazionali ed internazionali; non sono inoltre mancati momenti di scontro ed attimi di tensione tra i militanti correisti che accompagnavano in corteo il proprio leader con i sostenitori di Moreno, decisi ad ostacolarne il ritorno in patria.
La Consulta Popolare di domenica scorsa doveva pertanto servire a garantire margini di governabilità al Presidente Moreno, una volta dichiarata l’aperta ostilità con l’ex presidente Correa.
Tuttavia, a seguito del voto di domenica scorsa, per definire gli equilibri politici del governo di Moreno resta ancora tutto da interpretare l’atteggiamento e le condizioni politiche imposte dai partiti di destra, guidati da Lasso, anch’essi a favore del referendum.
Resta infine da valutare quanto ancora durerà la transitoria luna di miele con i movimenti indigeni, ecologisti e sinistre contestatarie che, pur riconoscendo il carattere conciliativo del nuovo governo, attendono con sospetto l’approvazione di misure economiche che sanno di austerity.
Nel frattempo i movimenti cercano di riorganizzarsi dopo il decennio correista e preparare nuovamente le prime mobilitazioni contro il governo.