Chris Offutt, Nelle terre di nessuno, traduzione Roberto Serrai, revisione Luca Briasco, Minimum Fax, 156 p., 17 euro.
di Fabrizio Coppola
L’America profonda, gli invisibili, i “nessuno” a cui fa riferimento lo stesso titolo di questa raccolta. Tutte cose che non esistono. Le abbiamo inventate noi.
Per definire ciò che non conosciamo. Lo facevano già i Romani: Hic sunt leones. Ciò che non conosciamo perché abbiamo deciso di non reputarlo interessante. Per qualche ragione. Salvo poi, all’improvviso, concederci una seconda chance. A volte anche una terza e una quarta.
Di punto in bianco, circa un anno fa, l’intero mondo (occidentale) a quanto pare ha iniziato a interessarsi a luoghi e persone che aveva da sempre ignorato o al massimo inserito in una piacevole cornice utile a saziarci con lo stereotipo che diffondeva: l’America rurale, gli spazi sconfinati, le tradizioni, i granai, i front porch con la bandiera americana.
E altre simili e amene stronzate… E come mai tutto questo interesse? Facile. C’entra la politica.
C’entrano le elezioni americane. C’entra il modo in cui gli abitanti di questi luoghi hanno votato. Questi signor nessuno, poveri, bianchi, con un passato e una storia simili alle prospettive che la nazione più progredita del mondo offre loro. Zero.
Queste persone, insomma, hanno contribuito in maniera fondamentale all’elezione di Trump. E in questo modo si sono guadagnati gli onori della cronaca.
E allora via con una sequela pressoché infinita di reportage, documentari, approfondimenti di varia forma e natura. Ovviamente questa gente esisteva anche prima. E altrettanto ovviamente, per fortuna, esistono artisti, scrittori, giornalisti e registi che se ne sono occupati anche senza dover attendere il via libera dei media mainstream.
Ed eccoci a Offutt, quindi, i cui racconti sono da poco stati pubblicati da Minimum Fax, editore attento a infilare le mani nella terra ben al di sotto del primo strato superficiale e visibile.
La raccolta si legge tutta d’un fiato ed è resa in un italiano molto credibile, lontano dal birignao editoriale e dalla lingua piatta e sfasata che a mio modesto parere caratterizza troppe traduzioni, da qualche tempo a questa parte.
Di questo bisogna ringraziare i già citati Roberto Serrai, traduttore, e Luca Briasco, editor della straniera di Minimum Fax, qui revisore della traduzione.
Cosa sono i personaggi di questi racconti? Sono degli archetipi? Sono persone esistite realmente. Che magari sono ancora in vita?
Sono il riflesso della volontà dell’autore di rendere giustizia a ciò che gli è passato davanti agli occhi per tutta la vita e non è mai stato compreso? Sono un SOS? O sono una scialuppa di salvataggio per noi che leggiamo le loro storie a migliaia di chilometri dai luoghi descritti nella mappa che apre il libro?
Be’, qualsiasi cosa siano, a me sono sembrati più veri, vitali e palpitanti di queste stesse mani che stanno pigiando i tasti di fronte a me in questo momento. Mi sono sembrati un’occasione per infilarmi in alcuni angoli bui della mia mente che non frequentavo da un po’. Per pormi delle domande.
Cos’è un territorio? Che relazione ha con le persone che lo abitano? Sarebbe lo stesso se non fosse calcato da quelle suole? Se non fosse stato per secoli il contenitore di quel genere di umanità? O forse è stata l’umanità che lo ha abitato a essere plasmata inconsciamente dal suo terreno, da fiumi, alberi, vallate?
Sono forse gli alberi e il cielo a creare i pensieri che albergano nelle menti di quelle persone o non sono forse i sentimenti di quegli individui a determinare il modo in cui quel preciso albero crescerà, il modo in cui il tessuto di nubi si lacera verso Ovest lasciando intravedere uno squarcio violaceo prima del tramonto? Chissà.
O forse no. Forse è solo una raccolta di racconti. Un atto di verità, d’amore e di pietà insieme. Offutt riesce in un’impresa epica, a mio parere: è come se ci accompagnasse dentro quelle storie, come se ci prendesse per mano per portarci ad assistere a quelle vicende, sussurrandoci in un orecchio: “Vieni, adesso ti faccio vedere come stanno le cose.”
Una manciata di storie che fa il punto su quel pezzetto di umanità che si agita in quei luoghi e in quelle vite.
Senza cercare di abbellire il racconto né di drammatizzarlo. Tutto sembra naturale, ovvio, scontato, quasi banale.
Ma solo un attimo dopo che i fatti sono accaduti. Solo dopo che noi lettori siamo stati investiti da un gesto, una parola – detta o non detta – che in quel momento sovverte l’equilibrio, ma un istante dopo appare come l’unico epilogo possibile, l’unica reazione accettabile, l’unica risposta davvero umana a disposizione.