La scrittrice Nayrouz Qarmout racconta la situazione a Gaza dopo le dichiarazioni del presidente USA su Gerusalemme
di Orsola Casagrande
Nayrouz Qarmout è nata a Damasco, il 14 aprile 1984. Profuga palestinese, oriunda del villaggio Deir Sneid, ha vissuto nel campo profughi di Yarmouk fino all’età di dieci anni.
“Ho trascorso la mia infanzia a Chaam, come chiamiamo la Grande Siria, e quanto mi manca. E’ la terra che mi ha visto nascere, la terra dove mi sono per la prima volta imbevuta della vita. E’ stato il primo suolo che ho calpestato nella mia infanzia, una infanzia di esilio, di diaspora”, dice.
Nayrouz si è quindi trasferita a Gaza con la famiglia nel 1994: lì ha terminato i suoi studi e lì continua a vivere. “Non sono riuscita a realizzare il mio sogno di fare l’università all’estero perché sono riuscita ad avere la mia carta d’identità e il passaporto soltanto nel 2009”.
A Gaza si è laureata in Business Administration. Ma Nayrouz ha lavorato al Ministero delle Questioni Femminili ed è una scrittrice.
Dopo la dichiarazione con la quale il Presidente USA Donald Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale del solo Stato d’Israele, i palestinesi sono ancora una volta scesi in piazza, affrontando la repressione brutale dell’esercito di Tel Aviv. Il mondo ha protestato per questa ulteriore dimostrazione di arroganza e Gaza è di nuovo sotto attacco.
Lo scambio di mail e messaggi vocali telegram con Nayrouz è stato intenso, in quei giorni. “Dopo la dichiarazione di Donald Trump ho provato una grande tristezza, ma non ho perso la speranza. Il mondo ha respinto queste parole e questa decisione unilaterale e la gente è scesa per le strade. La solidarietà internazionale è stata grande, e noi siamo ancora vivi. Nonostante il veto posto dagli USA, credo che al Consiglio di Sicurezza dell’ONU Israele e gli stessi USA sono rimasti isolati nella loro arroganza”.
Gerusalemme è più che un simbolo. “Gerusalemme – dice Nayrouz – è il sogno con il quale siamo cresciuti, è la sacralità dell’uomo, l’amore e la pace, la culla delle religioni, la bussola della lotta nazionale palestinese. E’ una terra sacra. Oggi la situazione è confusa. Il mondo cerca di immaginare che cosa accadrà nel prossimo futuro: stiamo perdendo Gerusalemme? L’occupazione non ha esitato a “giudaizzare” Gerusalemme, cancellando la sua identità”.
Si dice che la soluzione della questione palestinese rappresenterebbe una nuova prospettiva per tutto il Medio Oriente. Ma oggi questa soluzione sembra più distante che mai…
Il conflitto arabo-israeliano, o la contesa palesino-israeliana, contiene in sé dimensioni diverse, culturali, religiose e geopolitiche. E’ l’essenza del conflitto del Medio Oriente. Mi rattrista molto pensare e ricordare quando la lotta ha smesso di essere tra palestinesi ed israeliani per trasformarsi in lotta di potere tra palestinesi. Entrambe le parti si sono date come obiettivo la difesa della causa palestinese, però una in nome del patriottismo e l’altra in nome del credo religioso. L’essenza del conflitto ha perso valore dopo essersi trasferito in vari punti della regione araba (soprattutto nei paesi vicini ad Israele) hanno cominciato a cambiare i destini, obiettivi e direzione delle persone man mano che i partiti a carattere religioso si clonavano, conferendo potere alle forze più estremiste che minacciano la stabilità delle società arabe e del mondo intero. Il mondo è un villaggio e la generalizzazione di un modello intellettuale per la gioventù attraverso mezzi, materiali e non, si converte in qualcosa possibile per molti, soprattutto grazie alla rivoluzione tecnologica ed informatica. Per questo, ho sempre qualche sospetto su chi realmente investa in questo terrorismo intellettuale, una entità estranea alle nostre società. Quando si indebolì il ruolo dell’Egitto nella regione araba, si distrusse l’Iraq, retrocedette il ruolo di Siria, Libia e Yemen e si rafforzò il ruolo dei paesi del Golfo, nella regione araba abbiamo ricevuto l’influenza della cultura del Golfo in tutte le sue componenti. Ma per caso Bin Laden, Al-Zahariwi e il Daesh sono figli genuini della cultura di questi paesi? Non lo posso dare per scontato. O sarà un caso che il ruolo più forte e influente di paesi come Turchia e Iran coincida con la vittoria del movimento Hamas a Gaza, il trionfo dei Fratelli Musulmani in Egitto…
Il movimento salafita dai paesi del Golfo si è esteso ai nostri paesi attraverso l’Islam Jihadista, così come accadde in Afghanistan, Iran e Turchia dove predomina il potere di partiti religiosi che sostengono tutto ciò che riflette un carattere islamico nella regione. Il principale vincitore di quello che sta accadendo nella regione araba, a partire dai conflitti confessionali, è Israele. Lo stato di Israele rivendica il riconoscimento del carattere ebraico dello stato e applica codici civici nella sua legislatura e sistema di governo. Allo Stato di Israele non interessa che la zona sia frazionata in staterelli creati su basi religiose confessionali, fintanto che non venga posto in discussione il suo carattere ebraico. Si costruiranno società su basi religiose e la religione di ogni società sarà trasformata ed alterata poco a poco e a discrezione, come conviene.
Noi palestinesi, dobbiamo determinare le basi sulle quali costruire la soluzione finale di questa lotta. Non sono ottimista. Non vedo un’entità palestinese a breve. Ci stiamo dissolvendo nei principati dell’illusione patriottica e islamica. Tutti credono che la soluzione economica migliorerà le condizioni di vita della gente e sarà l’anticamera di soluzioni future. In altre parole, ritornare a formare le menti. Stiamo parlando di idee e nel frattempo il terreno si riduce quotidianamente attraverso la geofagia dei progetti di colonizzazione e la costruzione di muri di isolamento senza fine.
Tu hai lavorato al Ministero per le Questioni Femminili. Qual è la situazione delle donne a Gaza?
Io sono donna e felice di esserlo. La paura uccide la donna nella nostra società, anche quando pensa di essere nella sua miglior condizione di forza e energia. La famiglia la emargina e fa a pezzi la sua presenza. Le tradizioni e idiosincrasie la immobilizzano con i loro vincoli. L’errata concezione della religione inibisce il suo sviluppo. L’occupazione distrugge la sua libertà. Ma nonostante tutto questo dolore e pressione, la sua creatività è motivo di sopravvivenza. La creatività è rivoluzione e per risolvere la questione palestinese abbiamo bisogno della creatività di una rivoluzione che è donna. Soltanto il risveglio della donna favorirà la stabilità delle società arabe e della società palestinese.
Parliamo della tua creatività. Quando hai cominciato a scrivere?
Ho ricordi di me che scrivo su fogli sciolti. Da piccola ho scritto un libro di poesie, che ho perso in un trasloco mentre tornavamo a Gaza. Nonostante la mia preferenza per le materie scientifiche, mi sono sempre sentita attratta dalla scrittura, dalle parole. Mi piaceva creare immagini e inventare trame. Nel mio lavoro al Ministero per le Questioni Femminili, poi, ho scritto molto di questioni sociali e ho monitorato la violenza di genere. Ho contribuito ad elaborare una visione di lavoro di questo ministero dopo il ritiro unilaterale di Israele da Gaza nel 2005. Ero giovane, allora, ma la ministra Zuheira Kamal (che era anche Segretaria Generale dell’Unione Democratica Palestinese (FIDA), una sezione dell’OLP) e la sua lotta ha avuto una grande influenza su di me, come la sua fede nella giusta causa delle donne per ottenere i loro diritti e l’uguaglianza.
In quel momento si produsse quello che alcuni chiamano colpo di stato nella Striscia di Gaza, golpe militare contro l’OLP e io chiamai nei miei articoli successivi “divisione”: né colpo di stato, né soluzione. Divisione in tutti i sensi, anche se all’atto pratico fu un golpe contro l’autorità esistente. Ci furono, è vero, elezioni amministrative, nel 2006. E trionfò il movimento islamico Hamas. Ma questo non giustifica il suo successivo uso della forza. Al di là delle accuse anche fondate contro l’OLP non posso accettare che la riforma si faccia con la forza. Affronterò dunque quello che è accaduto dal punto di vista dei miei sentimenti. Ho provato una frattura nella memoria. Ho sentito la mia patria, la mia terra piangere di fronte ai miei occhi. Ho osservato e sono stata testimone di tutto quello che accadde. Sentivo che stavamo facendo a pezzi, con le nostre proprie mani, il sogno palestinese per la libertà e l’indipendenza. Per tornare alla domanda: cominciai a scrivere tutto quello che succedeva attorno a me. Rifiutando il dogmatismo, l’estremismo intellettuale e religioso e i gruppi che lo rappresentavano. Era il 2009. Il mio primo racconto completo però “La Coperta di Mare”, l’ho scritto nel 2014.
Che relazione avevi con i libri? Si trovavano libri?
Fin da piccola ho amato la lettura. Ricordo che avevamo una biblioteca molto grande nella nostra casa in Siria. C’erano divani marroni che potevi aprire e dentro questi cassoni c’erano scatole piene di libri e cassette musicali, sia occidentale che orientale. Aprire quei divani era come entrare in un mondo magico. Come Alice nel Paese delle Meraviglie, entravo in un mondo diverso dal mio. Quando tornammo in patria, purtroppo, non potemmo portare con noi la nostra biblioteca. Qui a Gaza ho sofferto molto questa scarsezza di libri. La mia famiglia ha dovuto rifarsi una vita qui, da zero.
Forse perché mi sono trasferita, da piccola, da una società araba orientale più aperta ad una più chiusa, ho sviluppato un occhio che mi permette di paragonare questi due mondi. Venivo da una diaspora e mi apprestavo a vivere in un’altra diaspora. La mia famiglia, infatti, pur avendo parenti sia in Siria che a Gaza, scelse di vivere da sola.
Mi fissavo molto sullo sguardo che un bambino del campo profughi rivolgeva ad un bambino della città. E sullo sguardo che un bambino contadino rivolgeva ad entrambi. Mi concentravo su come un bambino di Gaza guarda un bambino della Cisgiordania. E come tutti guardavano un bambino che veniva da lontano.