Il trionfo di Orban, un’Ungheria che non vede unirsi le opposizioni
di Alessandro Grimaldi, da Budapest, tratto dal suo blog
Per commentare le elezioni dell’8 aprile 2018 in cui Viktor Orban si è riconfermato leader maximo parto da lontano, da novembre 2017.
A novembre appena entrato al caffè da Carlo (per me resta sempre il caffè da Carlo), subito mi han fatto “chi lo vince lo scudetto?” subito ho risposto: la Juve, che domande… è la società più forte, ha un organigramma solido, un cannoniere, ha Dybala, il portiere migliore d’europa, viene da sette scudetti di fila.. certo ha un gioco utilitaristico e il Napoli può fare un calcio meraviglioso ma…
Spero che questo riesca forse a spiegare all’italiano medio non prevenuto il clima che c’era ieri a Budapest in piazza sotto la balena, sede del comitato elettorale di Orban con tutti i suoi fedeli in festa, come in TV, come per le strade e sui tram gialli di Budapest.
Le false speranze nell’animo di chi non vince dai tempi di Maradona e Bruscolotti e le certezze granitiche di chi ha preso grande confidenza con la vittoria. E per stimolarsi deve puntare all’Europa o ai 100 punti (raggiunti dalla Juve di Conte n.d.a.).
I cento punti nella politica ungherese sono una frazione, i 2/3 (dei seggi in parlamento) quelli che ti danno la maggioranza qualificata e la possibilità di cambiare la costituzione a tuo piacimento (Orban l’ha rifatta da capo nel 2012 e da allora l’ha emendata sei volte, a maggio arriva la settima).
I seggi in parlamento sono 199 (con l’ultima costituzione) e quindi il primo numero buono per superare i 2/3 è 133. 133 deputati, 133 mandati elettorali (come si dice qua).
Orbene sono tre legislature che Fidesz, la federazione dei giovani democratici, il partito di Orban, raggiunge questa mitica quota e come la Juve la soddisfazione è sempre la stessa e la si leggeva negli occhi di Orban ieri in una delle prime interviste ad echotv, davanti al suo amato e sussiegoso Bayer Zsolt (il giornalista amico di mille avventure).
Se un numero vi sembra troppo freddo (133) allora meglio un’immagine: l’Ungheria divisa per collegi tutta colorata di arancione (il colore di Fidesz).
E’ la mappa che vedo a tutte le elezioni in piazza e in TV dal lontano 2006, dalle elezioni amministrative 2006, ho sempre visto questa, Fidesz vince circa il 90 percento dei collegi da allora e se li perde li perde a Budapest, la capitale, la città dei peccatori, come diceva Horthy, che sulla mappa appare solo come un puntino.
Al limite ci sono delle macchioline. Gli unici collegi scampati allo schiacciasassi Fidesz sono Szeged, città universitaria, rimasta feudo socialista, Pècs, città universitaria, indipendente, Dunaujvaros, nero o marrone, della destra di Jobbik.
Tre seggi su 88 vinti da chi non è Fidesz fuori Budapest.
Come col Napoli di Sarri qualcuno si era illuso, specie dopo la vittoria anti Fidesz alle comunali di Hodmezovasarhely, feudo di Lazar Janos (che ieri dopo aver vinto all’uninominale quasi non ci credeva, le chiamate accorate al voto utile, l’idea che l’opinione pubblica fosse esausta di una campagna d’odio).
Invece no, la verità è che tutti si fermano a Budapest dove Fidesz ha vinto solo in sei collegi su 18 o al massimo nelle città universitarie di Pècs e Szeged e nessuno conosce l’Ungheria profonda, e ci va a parlare. E sarà anche un problema di partiti, radicamento nel territorio, in Italia si direbbe così.
Le immagini, una dopo l’altra, sono esemplificative.
Ora mi pongo una domande e rispondo prolisso: vittoria schiacciante di Orban col 49 percento e 20 percento a Jobbik, che paese è l’Ungheria? In altre parole l’Ungheria è un paese fascista nell’animo?
L’Ungheria è un paese (fascista) come ogni altro, come l’Italia in cui si afferma la Lega di Salvini con le sue parole di odio e demonizzazione dei migranti, come la Francia, la Svezia dei partiti antiUe, come gli Stati Uniti di Trump grande leader dal linguaggio politico quando serve triviale, come la Gran Bretagna della Brexit.
Certo l’Ungheria è l’Ungheria e tutto può e deve essere interpretato con la loro cultura e storia politica ma è una nazione del gran mondo.
Vive trend globali, epocali, come la differenza abissale città e campagna, come in una fiaba, le grandi città Parigi, New York, Londra restano liberal e democratiche, le grandi campagne si fanno ammaliare da questa retorica populista, e poi il lavoro che c’è sempre di meno e in condizioni sempre peggiori, i grandi distretti industriali rossi del ‘900 (in Ungheria le regioni del nord, Miskolc, Salgotarjan, feudi socialisti) come Detroit o la rust belt, ora fortemente spostati a destra, e ovviamente come la Russia di Putin e la Turchia di Erdogan, con la “nazionalizzazione” dell’economia, la nuova ricca borghesia che deve tutto ai legami con lo stato etc…
Pensiamo ancora all’Italia di pochi anni fa in fondo, quella del periodo più florido di Berlusconi, quello di un leader forte e comunicatore a capo di un partito granitico contro una sinistra supponente, frantumata, piena di invidie al suo interno divisa in 5-6 partitini, spesso rivali fra loro.
Per dirne una ieri il secondo partito di sinistra, DK, coalizione democratica dell’ex premier Gyurcsany, ieri felicissimo per aver ottenuto con solo il 5,6 percento dei voti di lista ben 9 deputati, mentre l’LMP (Un’altra Ungheria è possibile) ne ha presi solo 8 col 7% percento di consensi.
E’ un problema anche perché nel frattempo Orban ha cambiato la legge elettorale e l’opposizione non ha ancora capito come funziona l’Ungheria che storicamente aveva un sistema misto con doppio turno al maggioritario, ora ha un sistema misto con maggioritario a turno unico.
Ci si deve presentare uniti, un’unica coalizione, un ulivo magiaro insomma, che magari si spacca alla prima guerra per colpa del Bertinotti di turno, ma che può vincere le elezioni.
E’ complicato poi organizzarsi e invitare gli elettori al voto utile sul candidato favorito. Magyar narancs (l’arancia ungherese, uno de pochi giornali liberi rimasti, vedremo i prossimi anni) pubblica uno studio fatto sul retro di una busta che mostra chiaramente come in 5 collegi di Budapest i partiti di opposizione avrebbero vinto facilmente se fossero riusciti a gestire meglio questa strategia.
Fantastico poi il caso di Szél Bernadett (leader dell’LMP) nel collegio Pest megye 2, che ha perso di 300 voti, avrebbe vinto con i voti del partito (satirico, antisistema) del cane a due code (MKKP) che ha preso 1250 voti o con quelli del perfetto sconosciuto Partito Democratico col referendum che ne ha avuti 500 .