Una rissa avvenuta tra locali e Guardia Civil, a poca distanza da Euskadi, si è trasformata in un caso che molti considerano di persecuzione giudiziaria
di Alessandro Ruta, da Pamplona
Da oltre cinquecento giorni la cittadina di Alsasua, in Navarra, a pochi chilometri dal confine con la Comunità Autonoma di Euskadi, vive dentro un incubo.
Più precisamente dalla notte tra il 14 e il 15 ottobre del 2016, quando in uno dei bar del centro di questo paesone si innescò una rissa che coinvolse due agenti fuori servizio della Guardia Civil con le loro compagne e alcuni giovani del borgo.
La più classica delle situazioni post-sbronza, sembrava. Qualcuno che alza troppo il gomito, parole che volano e spintoni. Non si è mai capito come si sia davvero sviluppata la faccenda; in compenso si sa molto bene quello che è successo dopo.
Un evento locale è arrivato fino a Madrid, nel momento in cui il “delitto di odio”, secondo il codice, è stato modificato in “delitto di terrorismo”, da parte dell‘Audiencia Nacional, il tribunale supremo spagnolo con sede nella capitale spagnola che aveva preso in carico l’indagine dai colleghi di Pamplona.
Un tribunale che ha ascoltato in pieno la denuncia depositata dal CoViTe (Collettivo Vittime Terrorismo), l’associazione basca che raggruppa 400 famiglie di persone uccise da Eta o dai Gal, e che fin dall’inizio della vicenda è stata dalla parte degli agenti della Guardia Civil e contro un “certo tentativo di manipolazione da parte della Sinistra Indipendentista Abertzale”.
L’Audiencia per gli otto accusati ha chiesto in totale 375 anni di carcere: si va, singolarmente, da un minimo di 12 anni e mezzo fino a 62.
Nel frattempo tre dei presunti assalitori da un anno e mezzo sono rinchiusi nelle carceri di Navalcarnero, Aranjuez ed Estremera (tutte e tre nella Comunità di Madrid). Prigione preventiva, ad alimentare il già folto gruppo degli “Euskal presoak” dispersi per mezza Spagna, lontanissimi da casa loro.
Questa settimana inizierà a Madrid il processo nei confronti degli otto accusati e sarà un dibattito di due settimane sul filo della tensione. La stessa che negli ultimi sedici mesi ha toccato direttamente Alsasua, descritta a volte in maniera sprezzante, come una sorta di covo di terroristi, e che si è ritrovata al centro dell’attenzione dall’oggi al domani.
Tuttavia sabato scorso a Pamplona, il capoluogo della Navarra, una grande manifestazione ha ribadito con forza la richiesta di un processo equo e di pene proporzionate. “Justizia” era lo slogan che circolava per le strade della città dei Sanfermines: 50mila i partecipanti secondo gli organizzatori, 40mila per la polizia.
Comunque una grande risposta di popolo, dato che in città sono giunte persone da ogni parte di Euskal Herria, più rappresentanti del parlamento spagnolo ed europeo. Alcuni manifestanti sono giunti perfino dalla Catalunya.
Tutti in appoggio ai ragazzi di Alsasua e ai loro genitori, rimasti travolti per primi dall’incubo di quella notte, e che subito dopo la manifestazione sono partiti in direzione di Madrid. Bel, mamma di Adur, uno degli accusati (per lui la richiesta è di 50 anni di galera) ha affermato con le lacrime agli occhi che “Se siamo ancora in piedi è grazie al sostegno di persone come queste”.
La mobilitazione è stata indubbiamente enorme e significativa l’immagine di Plaza del Castillo stracolma di gente che gridava come i ragazzi di Alsasua non fossero affatto dei terroristi e che non si possono fare oltre sessant’anni di prigione per una rissa in un bar.
“E’ tutto sproporzionato – continua un altro genitore -, l’Audiencia Nacional ha persino impedito ai nostri avvocati di presentare dei testimoni a nostro favore. La questione non è essere a favore di una parte o dall’altra, ma della necessità di un giusto e imparziale processo. La sensazione è che questo debba essere un castigo, o una punizione, più che un giudizio. Nel 2016 ci sono stati, secondo una fonte del Ministero dell’Interno, 9571 casi di litigi o risse con degli agenti della Guardia Civil, ma solo il nostro è stato classificato come terrorista”.
Amnesty International, che sarà presente al processo di Madrid, ha chiesto, per questo, che si ritiri l’accusa di terrorismo per gli otto ragazzi, l’organizzazione Fair Trials ha denunciato l’assenza di diritti fondamentali per gli accusati, e dal Parlamento Europeo il vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, ha ammesso di “seguire con attenzione il caso”.
In 100mila hanno firmato il un manifesto che appoggia le rivendicazioni della piattaforma, costituita appositamente, “Altsasukoak aske” (“quelli di Alsasu liberi”): tra questi, 194 professionisti del diritto, 88 parlamentari nazionali e 52 europei.